Bello vedere che in città c’è chi se ne infischia altamente degli improbabili festeggiamenti di Halloween e preferisce affollare la Galleria Toledo per godersi uno dei concerti più attesi di questo caldo (in quanto a numero di eventi musicali) autunno napoletano. Sin dai primi istanti è chiaro che a catalizzare l’attenzione sarà l’estroso violinista Warren Ellis (“già con Nick Cave & The Bad Seeds”, come declamavano – per i meno informati – i flyer promozionali). La sua figura longilinea si muove ora con grazia, ora con disperatazione… Warren che sputa, Warren che si attorciglia sullo strumento, Warren che si rotola sul palco, Warren che fa tremare il palco battendo il tempo con i tacchi dei suoi stival da cowboy, Warren di spalle al pubblico, Warren barcollante trascinato dalla corrente inarrestabile dei momenti più impetuosi…è sempre e comunque su di lui che si posano gli occhi. Eppure è uno spasso anche osservare quello che è capace di combinare dietro ai tamburi Jim White, che percuote le pelli con larghi movimenti di braccia che sembrano imitare le ali di un gabbiano, con velocità spaventosa quando il ritmo aumenta, o con sciatteria e apparente non curanza quando sperimenta percuotendo (e facendo puntualmente saltare in aria) dei tamburelli appoggiati sul rullante e sul timpano, e cambia più volte i tipi di bacchette senza mai perdere il tempo. Il chitarrista Mick Turner, lui sì, non è uno spettacolo entusiasmante, con la sua aria di chi vorrebbe essere altrove a sorseggiare té. Lo sporco trio attacca col violino pizzicato di “Alice waiding” (traccia d’apertura dell’ultimo LP, “She Has No Strings Apollo”), e fino al finale affidato alle bellissime “Last horse on the sand” (da “Ocean songs”) e “Everything’s fucked” (tratto da “Dirty Three” del ’95, che Ellis presenta come la loro “hit” capace di competere con quelle di band come gli U2), il concerto è tutto un succedersi di emozioni, suggestioni, e trascinanti momenti di pura catarsi, quando i tre musicisti aggrediscono i rispettivi strumenti facendoli urlare di dolore. Devo ammettere di non essere riuscito ad apprezzare al meglio la dimesione teatrale, sebbene probabilmente la più idonea ad ospitare uno spettacolo del genere, che a mio avviso ha finito per smorzare la palpabile tensione generata dalla musica – contemplativa, si, ma anche esplosiva in alcuni frangenti – del gruppo…come se le comode poltrone della Galleria assorbissero l’adrenalina, le scariche elettriche trasmesse dal trio. Gran bel concerto, comunque…come prevedibile!
Autore: Daniele Lama / foto di: Sole