“Hertcore”, il debutto di questo duo svedese, composto dai coniugi Mariam Wallentin (voce) e Andreas Werliin (percussioni), lasciò molti a bocca aperta, compreso il sottoscritto. Dopo appena un anno, ri-eccoli con un album se possibile ancora più oscuro e ostico, seppur in linea con lo stile – indefinibile ed eclettico – del suo predecessore: blues (spesso nello spirito più che nella forma), soul ridotto al minimo indispensabile, urgenza rock’n’roll. Il serpente del titolo sembra raffigurare queste canzoni capaci di avvolgersi su sé stesse per poi distendersi, aggressive ma eleganti, sinuose ma anche ruvide ed imprevedibili.
Dall’impeto percussivo e le convulsioni vocali di “There is no light” al vibrafono che regala un tocco melodico speciale a “Chain of steel“, dalla lenta “So soft so pink” – che suona come dei Portishead in viaggio nell’abisso – alla minimalista “Places“, con la batteria di Andreas in bella mostra, e la voce di Mariam ad arrampicarsi su strutture soul astratte e sfuggenti, il disco procede senza fornire sicurezze e punti di riferimento all’ascoltatore. Con “Liar lion“, dal tono più scanzonato, c’è un improvviso cambio di mood, e il duo lascia penetrare raggi di luce nel suo oscuro universo sonoro; in “Who ho ho” la sinergia tra i due coinvolge anche le rispettive voci, che qui cantano all’unisono, in una specie di nenìa sinistra. In chiusura la splendida, lunga “My heart“, con la voce di Mariam che arriva a modularsi in maniera stupefacente tra dolcezza e disperazione (“I’m lost without your rhythm”), su un tappeto percussivo che raggiunge l’intensità di un’orchestra intera. Lasciatevi avvolgere dalle spire del serpente, ne vale la pena.
Autore: Daniele Lama