Vi risparmierò nel recensire “One Day It Will Please Us To Remember Even This” quei quesiti triti e ritriti che certamente avrete già incontrato negli articoli usciti di recente sulla stampa nazionale sulla reunion delle New York Dolls : quelle circa il senso di un nuovo disco delle bambole a 32 anni da “Too Much Too Soon”, delle bambole senza Johnny Thunders, e cosa Johansen, Sylvain ed i loro nuovi soci possano ancora dire nel contesto attuale del rock internazionale.
Tutte masturbazioni critiche: le Dolls erano tornate già nel 2004 sotto l’egida del loro super-fan inglese Morrissey con un cd ed un dvd ottimi, registrati al Royal Festival Hall di Londra durante il Meltdown Festival quando ancora l’originario bassista Arthur ‘Killer’ Kane era vivo anche se agli sgoccioli, nei quali rivisitavano alla grande i loro immarcescibili inni di strada come se 30 anni non fossero mai passati.
David Johansen a 50 anni e passa si dimostra in questa occasione il saltimbanco istrione di sempre con quel vocione imperativo e sardonico, che chi si è fatto le ossa sul rock-punk degli anni ’70 conosce bene!
Ma veniamo al nuovo lavoro: chiunque ami il rock nel senso più pieno del termine capirà già dalle prime note di “We’re All In Love” che qui c’è di che esaltarsi e gioire come ventenni in calore. Quando nel 1973 fu stampato dalla Mercury il primissimo “New York Dolls” prodotto dal geniaccio Todd Rundgren, il primo vero album suburbano della storia del rock, anticipava quello che abbiamo oggi tutti sotto gli occhi nelle nostre città. Anche se erano già usciti il primo dei Velvet Underground, degli Stooges e degli MC5 qul lavoro fu l’album delle pillole, dell’immondizia, della crisi di personalità, delle ragazze cattive.
A differenza delle bands sopra citate, nelle canzoni e nel sound delle New York Dolls di David Johansen, Johnny Thunders e co. c’era spazio oltre che per l’impietosa chirurgia delle perversioni metropolitane anche per un sano, caotico e dissacrante senso del divertimento, trasudante blues, glam e rock& roll in un cocktail micidiale e travolgente che non avevano né i Velvet, né gli Stooges, né gli MC5 (seminali ed unici per altri motivi ). Ciò annunciava gli splendori punk di lì a qualche anno:
‘… questo spirito rock&roll sfrontato ed irriverente andò purtroppo perduto nel punk degli anni ’70 e tanto più nel troppo irrigimentato hardcore di lì a venire …’
Queste le parole di Johansen, che, intervistato recentemente, insiste in più occasioni sui concetti di ‘swing’ e rock “for fun” che rappresentavano una componente essenziale delle N.Y.D. , componete mai abbandonata da lui nel corso della sua carriera solistica oltre che come Buster Poindexter ed Harry Smiths.
Ed è sempre lui con la sua armonica e quella voce che ti inchioda che dopo l’attacco fulminante di “We’re All In Love” subito conduce le danze, perentorio, coadiuvato da Sylvain e da una band formidabile guidata dal potente chitarrista Steve Conte. Già da questo primo brano appare questione futile etichettare: punk? metal ? hard? trash? glam?
No! Semplicemente sporchissimo ed attualissimo dolls-rock&roll di strada, che ti ubriaca senza aver bevuto una goccia e cancella di prepotenza quella maledetta depressione ondivaga che ti viene a trovare un giorno sì ed uno no!
Il ‘miracolo’ si ripete in “Runnin’ Around”, “Punishing World, Dance Like A Monkey” , “Gimme Luv And Turn On The Light”, “Gotta Get Away From Tommy”, tutte songs che ripropongono l’insolenza ed il sound stordente e pieno delle N.Y.D. originali dei ‘70’s ma con una freschezza esecutiva che stupisce.
Non siamo di fronte quindi ad uno sterile dejà-vu: Johansen non ha mai smesso di lavorare dopo le Dolls, ha interpretato generi diversissimi tra loro: blues, salsa, r&b, mambo, cabaret ed è diventato soprattutto un crooner efficacissimo nelle slow-ballads.
In “One Day It Will Please Us To Remember Even This” mette a frutto tutto ciò in ballate lente e mid-tempo come “Ain’t Got Nothin”, “Rainbow Store”, “Maimed Happiness”, “Fishnets And Cigarettes”, “Plenty Of Music”, “Take A Good Look At My Good Looks” che se da un lato arginano la forza d’urto devastante delle street-songs sunnominate (con un po di dispiacere da parte nostra) dall’altro ammaliano per le mature capacità interpretative di David e si dimostrano essenziali nel rendere questo ritorno inaspettato ma godibile in ogni sua sfaccettatura.
Autore: Pasquale Boffoli
www.punk77.co.uk/punkhistory/newyorkdolls.htm