Non mi entusiasma l’Horus, posto assolutamente lontano dallo spirito delle nostre musiche preferite, ma come diceva Keith Richards, uno che di rock’n’roll ci capisce ‘..money talks and bullshit walks..’ per cui eccoci a svuotare le nostre bottigliette d’acqua all’ingresso della discoteca. Prima han suonato i Gluecifer e The Quills, ma chi riesce a stare alle 20.30 ad un concerto? E comunque va bene, perché la nostra presenza qui è solo e soltanto per il ‘mostriciattolo magnetico’ che negli stessi anni in cui gente come Nirvana e Soundgarden sfornava i primi albums ci agitavano dall’altra costa degli States con vapori mefitici e esalazioni acide di space rock e detroit sound virato in noise newyorkese (non ci credete che erano così vero?).
Oggi invece ci troviamo di fronte a dei professionisti dell’hard rock e contrariamente a quanti molti credono, non sono stati i Queens of Stone Age a tradire per primi sciogliendo Kyuss e facendo dell’heavy-psich un fenomeno commerciabile sotto il nome di stoner; certo, sempre meglio del nu-metal, ma il senso di certe metamorfosi è ineluttabilmente gravoso. Il suono è insoddisfacente per l’acustica del posto (forse il pachidermico Tim Cronin alla consolle si è stancato di fare i liquid-show a base di luci colorate e additivi vari), ovattato e basso.
Dave Wyndorf, esaltatissimo, incentiva un pubblico dalla motilità di un bradipo al movimento riottoso, e questo fa un po’ tristezza. Il pubblico non reagisce e quindi lui fa tutto da solo. Alla chitarra solista Ed Mundell è atletico ma scolastico (forse la parte migliore del suo estro e fantasia la mette nei suoi acidissimi Atomic Bitchwax). I brani tratti dagli ultimi albums (quelli che hanno più venduto, corali e inutili) servono da apripista per i giovanissimi, quelli più datati invece dobbiamo guadagnarceli con tanta pazienza.
A fatica qualcosa arriverà, e precisamente ‘Dopes To Infinity’ e ‘Negasonic Teenage Warhead’ (da Dopes to Infinity) a riscaldare i pochi disposti a farsi riscaldare, la space-oriented ‘Dinosaur Vaacume’(da Superjudge), la tossica litania di ‘Zodiac Lung’ (da Spine of God) e la lunghissima e stravolta, teatrale Spine of God in cui si celebra lo sciamanesimo di Jim Morrison nella prima parte e l’insanità mentale di Wyndorf nella seconda. Il nostro non esita a metterci dentro strofe di ‘American Pie’ e, in un momento relativamente calmo, a distruggere una chitarra sul palco dopo averlo seraficamente annunciato (‘..now I got a sacrifice…) sotto lo sguardo interdetto di Mundell (forse la chitarra era sua e proprio non capisce perché il suo cantante debba fare questa cosaccia). Inutile dire che alla fine quella carcassa viene poco gentilmente lanciata al pubblico con evidenti rischi di trauma cranico, e – brutta cosa lo spirito di emulazione – le bacchette del batterista pure, ma non a parabola o a pallonetto, ma proprio di punta, roteanti insomma.
Questo vuole il Dio Toro o è solo per tener fede al loro vecchio motto ‘..it’s a satanic drug thing..you wouldn’t understand?’. Ma il culto psichedelico, i mantra metallici, i viaggi siderali, il misticismo lisergico, dov’è finito tutto ciò? Solo in quei due pezzi di vinile nero lì a casa?
Autore: A.Giulio Magliulo