Basterebbe citare titoli come Going Underground, My Ever Changing Moods, Wild Wood per comprendere come nella sua carriera trentennale, iniziata nel bel mezzo dell’esplosione punk, Paul Weller abbia attraversato con straordinario eclettismo la scena musicale della sua Inghilterra.
A 52 anni il Modfather potrebbe, senza troppo scandalo, crogiolarsi nel suo status di icona, mentre in realtà ci si trova di fronte ad un artista ed ad un uomo felice, lontanissimo dal mostrare i segni di una crisi di mezza età. < <Non penso molto agli anni che passano. Tutto qui. Mi sento molto meglio oggi che dieci anni fa. Cerco di fare solo quello che più mi piace e ho una band fantastica che mi segue. Il resto lo fa la passione, l’istinto, l’amore per la musica. La creatività, la voglia di suonare, ogni volta che devo cominciare a registrare un nuovo disco sono quanto di più bello si possa provare. La musica mi tiene vivo.>>.
Per il padrino dei Mod il 2010 può essere considerato come uno degli anni migliori. Basti pensare ai riconoscimenti tributatogli dalle riviste Mojo e Uncut per Wake Up The Nation, considerato il miglior album dell’anno. Wake Up The Nation è in effetti un pieno di impetuosa energia e genuina rabbia, sostenuto da un amore viscerale per il rock sporco e urbano (Moonshine, Wake Up The Nation) e per il soul (No Tears To Cry).
L’album è stato anche l’occasione per la rappacificazione con Bruce Foxton, il bassista e vecchio compagno dei Jam che ha collaborato, suonando il basso in due canzoni.
I due si erano lasciati male al momento dello scioglimento del gruppo: < <E’ successo perché l’anno scorso entrambi abbiamo perso delle persone che amiamo. Lui ha perso sua moglie nei primi mesi dell’anno, e io ho perso mio padre: questo ci ha aperto al dialogo, ed è sembrata una bella cosa da fare allora. Infatti è stata una cosa meravigliosa>>.
A questo bisogna aggiungere le molte riedizioni celebrative degli album dei Jam e di quelli da solista. Ed infine l’uscita di questi giorni di Find The Torch, Burn The Plans, un cofanetto CD/DVD che presenta la testimonianza live di una delle cinque serate tenute lo scorso maggio alla Royal Albert Hall e un documentario Find The Torch che il regista Julien Temple ha dedicato al musicista.
Quanto basta per ripercorrere le tante tappe della sua lunga e multiforme carriera. Paul Weller può essere considerato un predestinato, infatti già a 14 anni comincia a mettere in mostra la sua passione per la musica, formando un duo con Steve Brooks, un suo compagno di scuola alla Sheerwater Secondary School. Successivamente ai due si aggregano altri due compagni, Rick Buckler e Dave Waller. In pratica il primo nucleo dei Jam si è già formato. I quattro ragazzi crescono suonando cover di Chuck Berry e Little Richard ed esibendosi in concerto nei pub locali. Finiscono per incidere anche un paio di demo con di brani a firma Weller/Waller. Le cose cominciano a cambiare nel 1974 quando Weller viene affascinato dall’ascolto di My Generation degli Who ed ad avvicinarsi al Mod Revival.
Il Mod, contrazione di modernism era una sottocultura giovanile che iniziò a circolare intorno ai primi anni ’60 nelle periferie londinesi ed era pervasa da un profondo senso di rivalsa sociale e da una tensione verso tutto ciò che rappresentava la modernità. I Mod provenivano principalmente dalla classe operaia e cercavano di emanciparsi dalla loro condizione sociale attraverso una vera rivolta che investiva l’abbigliamento, la musica, il modo di spostarsi (le Vespe e le Lambretta). Per quanto riguarda la musica il movimento Mod faceva principalmente riferimento a gruppi come Small Faces, The Who, The Spencer Davis Group e alla musica nera, rhythm ‘n’ blues, soul, Nothern Soul, ska. Il revival di questo filone rappresentò un fenomeno culturale di grande impatto sociale tra i giovani inglesi, venendo poi esportato in tutta Europa. La band prende il nome di Jam un nome che girava nel circuito mod: il Ram Jam Club era un locale di Londra molto frequentato negli anni ’60, mentre i Ram Jam era una band presente sulla scena musicale. Nello stesso anno Steve Brooks e Dave Waller abbandonano il gruppo, sostituiti dal solo Bruce Foxton al basso. Dave Waller voleva dedicarsi alla sua passione preferita la poesia ma morirà tragicamente poco tempo dopo stroncato da una dose di eroina. I Jam si trasformano così in un trio con Weller leader indiscusso, chitarrista, voce e principale compositore. Da un lato il Mod, dall’altro l’esplosione della scena punk indicano ai tre ragazzi la strada da seguire. Il gruppo comincia a farsi notare nell’autunno del 1976 con una serie di concerti a Londra tra cui uno tenuto tra le strade di Soho e seguito da un secondo presso il 100 Club. Appaiono così i primi articoli elogiativi su Melody Makers e sulla più importante fanzine punk Sniffin’ Glue.
Nel febbraio del 1977 il gruppo ha già firmato un contratto con la Polydor, in cerca di giovani talenti da contrapporre ai Clash e ai Sex Pistols. In The City è il primo singolo, un pezzo con una forte impronta punk che presenta un riff al fulmicotone di chitarra e una linea di basso grezza e micidiale. Il testo presenta un forte contenuto di denuncia politica contro le brutalità della polizia (In the city there’s a thousand men in uniforms/And I’ve heard they now have the right to kill a man/We wanna say, we gonna tell ya/About the young idea/And if it don’t work, at least we said we’ve tried). Paul Weller non ha ancora 20 anni quando riversa la sua rabbia giovanile in questo strepitoso esordio. Il brano sfiora la Top 40 inglese e viene successivamente preso a modello dai Sex Pistols per Holidays in the Sun.
In The City apre la strada nello stesso anno all’omonimo album d’esordio che esce il 20 maggio 1977. Sulla copertina il trio appare sfoggiando giacche, cravattini, camicie bianche e capelli ben tagliati, certamente un’immagine diversa da quella dei Sex Pistols e dei Clash. In The City comprende un pugno di canzoni di tre minuti, veloci e aggressive, imperniate sui riff ruvidi di Weller, le dinamiche linee di basso di Foxton e sul possente drumming di Buckler. I Jam dimostrano di aver assimilato molto bene la lezione dei Clash, senza rinnegare le proprie radici fatte di garage-rock e rhythm ‘n’ blues. I pezzi esplosivi di In The City brillano e l’album raggiungerà il 20° posto delle classifiche inglesi. Spiccano i racconti metropolitani di Sounds From The Street e Bricks and Mortar, i momenti di quotidianità giovanile di Non-Stop Dancing e Art School, la critica corrosiva della società britannica di Time for Truth. A completare l’album ci sono infine le cover di Slow Down di Larry Willians e il Batman Theme un standard degli anni sessanta. Soprattutto i Clash sono particolarmente impressionati, decidendo di aggregare il gruppo come supporto al loro White Riot Tour.
Tuttavia proprio durante il tour i Jam decidono di dividersi dal movimento punk. In una intervista al New Musical Express Weller dichiara: < <Tutta questa storia di cambiare il mondo sta diventando una moda, alle prossime elezioni voteremo conservatore>>.
Il rapporto con i Clash si rompe immediatamente con Joe Strummer che arriva a rivolgersi in modo assai polemico all’indirizzo di Weller: < <Margaret Tatcher vi aspetta per la messa a punto degli obiettivi la prossima settimana>>.
In realtà i Jam sono un gruppo poco allineato rispetto ai tempi. Sempre sospesi tra l’amore per i sixty e il rifiuto del presente, possono contare su due fattori inconsueti per le punk band formatesi in quegli anni: il talento compositivo del leader e il saper suonare come dei musicisti. Le canzoni del gruppo inoltre al di là della rabbia giovanile finiranno negli anni per rivelare un profondo amore per lo stile di vita inglese. Un sentimento non proprio in linea con la filosofia punk. Nel novembre del 1977, preceduto, come di consuetudine per quegli anni, da un paio di singoli, esce il secondo album This Is The Modern Word nel quale si tocca con mano lo sforzo di esplorare nuove viene, sforzo tuttavia non sempre sorretto da un’adeguata ispirazione. Se In the Street Today rappresenta la consueta scarica di energia rock, il resto dell’album (The Modern World, I Need You, Life From A Window, Tonight At Noon) rappresenta un primo approccio verso il pop. Non manca anche in questo caso un omaggio esplicito alla musica nera con una cover In The Midnight Hour di Wilson Pickett. L’album pur ricevendo un buona accoglienza dal pubblico con il 22° posto nelle classifiche, è da sempre quello meno considerato nella discografia del gruppo, forse perché lo fotografa nel pieno di un momento di transizione.
Passano otto mesi quindi per arrivare al terzo album. Mesi nei quali Weller si prende un momento di pausa, distolto da una relazione sentimentale e che vengono riempiti dall’uscita a Febbraio 1978 di un singolo News Of The World a firma di Foxton. Un rock robusto che prende di mira il mondo della stampa spazzatura. Ad Agosto un nuovo singolo comprendente un brano dei Kinks David Watts e Down in the Tube station at Midnight una composizione originale di Weller ormai tornato a pieno nella vita della band. Tanto per fugare le polemiche sull’orientamento politico il brano descrive un episodio di violenza urbana e razzismo con rabbia e delicatezza (I first felt a fist, and then a kick/I could now smell their breath/They smelt of pubs and wormwood scrubs/And too many right wing meetings/My life swam around me/It took a look and drowned me in its own existence/The smell of brown leather/It blended in with the weather/It filled my eyes, ears, nose and mouth/It blocked all my senses/Couldnt see, hear, speak any longer/And I’m down in the tube station at midnight/I said I was down in the tube station at midnight).
Il singolo pur bandito dalla BBC raggiunge il quindicesimo posto della classifica, da quel momento le porte della Top 10 si apriranno costantemente. All Mods Cons viene pubblicato a novembre e sancisce la definitiva consacrazione artistica della band. La stampa musicale considera subito l’album come uno dei migliori del decennio e i Jam come una delle formazioni più influenti della scena musicale tra la fine dei ‘70 e i primi anni ’80. Gran parte del merito è certamente ascrivibile alla crescita artistica di Weller sia come autore di testi sia come musicista. All Mods Cons è un bellissimo affresco popolare diretto ed evocativo nel quale viene tratteggiato un mondo duro e spigoloso fatto di stazioni di metropolitana e case a schiera popolate da giovani del proletariato urbano con poche speranze di futuro. In più All Mods Cons presenta una varietà di registri per quanto riguarda il suono e l’arrangiamento. Se la title track con Down In The Tube Station At Midnight e A Bomb In Wardour Street rappresentano i tradizionali pezzi al fulmicotone, In The Crowd è invece un’anima acida e psichedelica che diverrà un cavallo di battaglia dal vivo. Fly e English Rose sono ballate malinconiche, mentre The Place I Love e To Be Someone (Didn’t We Have A Nice Time?) hanno un anima folk. Ma è Mr. Clean in qualche modo ad essere la chiave di volta dell’opera, un pezzo eccentrico e ricercato che testimonia l’ultimo innamoramento di Weller ovvero i Kinks e Ray Davis.
Come i singoli che l’hanno preceduto anche l’album sfonda le classifiche arrampicandosi fino al 6° posto. Il successivo quarto album Setting Sons (novembre 1979) viene preceduto da tre singoli tra cui Eton Rifle una riflessione rock sulla lotta di classe. Il brano fu ispirato dai tafferugli nati tra i partecipanti ad dimostrazione chiamata Right To Work March e gli studenti del college di Eton, tempio della classe dirigente inglese < <Hello-Hurrah what a nice day for the Eton Rifles/Hello-Hurrah I hope rain stops play for the Eton Rifles/Thought you were clever when you lit the fuse/Tore down the house of commons in your brand new shoes/Composed a revolutionary symphony/Then went to bed with a charming young thing/Hello-Hurrah – cheers then, mate. It’s the Eton Rifles/Hello-Hurrah – an extremist scrape with the Eton Rifles/What a catalyst you turned out to be/Loaded the guns, then you run off home for your tea/Left me standing like a guilty schoolboy>>.
Per la prima volta un brano dei Jam viene regolarmente trasmesso dalle emittenti radiofoniche, riuscendo a raggiungere in questo modo una platea più vasta e arrivando per questo fino alla terza posizione della classifica. Setting sons conferma la validità delle scelte operate in precedenza sia dal punto di vista degli arrangiamenti e della produzione che dei testi. Thick As Thieves e Saturdays Kids sono inni giovanilistici veloci e ritmati. Private Hell e Little Boy Soldiers, squarci di desolazione urbana in anni di profonda crisi economica e sociale. Wasteland possiede una forte sonorità beat. Smithers-Jones, firmata da Foxton, possiede un elegante arrangiamento per quartetto d’archi. Non manca infine il rituale omaggio alla black music con una cover di Heat Wave di Martha & The Vandellas.
Ad aprire il nuovo decennio arriva il singolo Going Underground, una violenta invettiva anti nucleare. Il brano pone fino alla rincorsa dei Jam verso il successo. A marzo del 1980 infatti Going Underground raggiunge il primo posto delle classifiche e rappresenta la chiave per la partecipazione al seguitissimo programma televisivo Top Of The Pops. Il successo è tale che sembra quasi si assista ad un’investitura popolare come nuovi testimoni di una generazione. Da qui fino allo scioglimento, i lettori della rivista New Musical Express eleggeranno i tre ragazzi di Woking come miglior rock band inglese e Weller sarà da allora conosciuto come il Modfather.
Nello stesso anno esce Sound Affects, un album strano, perché altalenante e con meno aggressività. Mancano i tradizionali punti di contatto con la musica nera, mentre al contrario si percepisce quasi una vena new wave per il suo uso frequente di fiati e synth (Pretty Green, Man in the Corner Shop, Scrape Away, Monday). Il punto più alto è invece That’s Enterteinment, una meravigliosa ballata acustica che anni dopo Paul Weller inserirà stabilmente nel suo repertorio. Preceduto dal solito nugolo di singoli, esce nel 1982 The Gift che vede il gruppo tornare sulle tradizionali sponde della musica nera come in Town Called Malice con una linea di basso stile Motown. Tuttavia nonostante sia al culmine delle proprie capacità compositive e sia beneficiato da un successo crescente, Weller comincia a non sentirsi più a suo agio nell’orizzonte del gruppo. Vuole cambiare, cercare nuove motivazioni. Ad ottobre lascia trapelare l’intenzione di sciogliere i Jam per coltivare il suo interesse verso il jazz ed il soul. La fine del percorso dei Jam si conclude con un trionfale tour di addio che prevede cinque date alla Wembley Arena di Londra e un concerto finale l’11 dicembre 1982 a Brighton, la città simbolo del movimento mod. Come omaggio per i fan esce un live Dig The New Breeze che ripercorre le fasi salienti di un’intera carriera.
I Jam lasciano in un breve arco di tempo (1977-1982) sei album impastati di rock e black music e canzoni che sono fedeli fotografie della gioventù inglese fra la fine degli anni ‘70 e gli inizi degli ’80, abbastanza per farli rimanere con merito nel firmamento delle band inglesi più influenti. Pochi gruppi di quella stagione possono vantare oggi un seguito di pubblico ancora fedele e appassionato. La scelta di sciogliere i Jam fu senza dubbio coraggiosa e certamente testimonia l’imprevedibilità del personaggio. Dopo soli tre mesi dallo scioglimento Weller fonda gli Style Council, firmando un contratto con la Polydor.
Partecipano all’avventura l’amico Mick Talbot, ex Mertin Parkas e Dexy Midnight Runners e il giovanissimo batterista Steve White. Gli Style Council, rappresentano una vera e propria rivoluzione, Weller accentua la libera sperimentazione di stili musicali dal pop al jazz, al soul, rappresentando l’avanguardia di un revival jazz che esprime gruppi come i Matt Bianco e Everything But The Girl. Nonostante la svolta pop dal piglio romantico e fatalista Weller accentua contemporaneamente il suo impegno politico, suonando in eventi pubblici contro il razzismo e il nucleare e a sostegno dei minatori in sciopero.
Sono questi gli anni dei governi di Margaret Thatcher e delle sua politiche di ristrutturazione economica. Weller è anche uno dei promotori di Red Wedge un movimento di musicisti (Billy Bragg, The Smiths, The Communards di Jimmy Sommerville) che si contrappone alle scelte dei governi della Tatcher e fiancheggia il Labour nelle elezioni dell’1987. < <Ora suono con gli Style Council e resto quello che sono sempre stato. Non mi piace vivere sotto pressione, e sciogliere i Jam è stato un modo per sfuggire a un meccanismo più grande di me, che non avrei potuto controllare. Avevo cominciato a bere moltissimo, a prendere droghe, a far tutto quello che le rock star hanno sempre fatto per distruggersi. No, non era un ruolo giusto per me. Gli Style Council sono la celebrazione della gioia di vivere, dell’ energia vitale e, se questo passa attraverso dei testi politici, mi sembra che sia più importante ancora>>.
Il nuovo percorso artistico inizia con la pubblicazione di Introducing The Style Council un EP che presenta già due brani di gran successo come Speak Like A Child e Long Hot Summer. Café Bleu nel marzo del 1984, primo vero lavoro della nuova formazione, riflette pienamente l’ irrequietezza di quegli anni. L’album è un vero è proprio scrigno di gemme, tra tutte svettano You’re The Best Thing e My Ever Changing Moods, quest’ultima una splendida ballata per voce e pianoforte. < <E’ vero, non c’è miglior modo per parlare di libertà che dimostrare di essere liberi, facendo vedere agli altri di non avere bisogno di idee già pronte ed impacchettate. Style Council suonano cose sempre diverse perché così è la vita di tutti. Così nascono canzoni jazz, oppure funky, parlo d’amore come di politica, ma questo non dovrebbe meravigliare nessuno perché ogni uomo pensa cose diverse e reagisce in maniera differente agli stimoli. Il fatto è che un musicista rock non dovrebbe sempre comportarsi seguendo un copione prestabilito>>.
Con Café Bleu gli Style Council raggiungo tutti i loro obiettivi guadagnando un ottimo riscontro da parte del pubblico (5° posto nella classifica inglese) e buoni consensi da parte della critica. Il successo viene bissato un anno dopo con Our Favorite Shop, in cui spicca la presenza di Dee C. Lee, affascinante corista di colore che Weller sposerà nel 1988 dalla quale avrà due figli. Nonostante le molte ballate pop (Boy Who Cried Wolf, The Lodgers, A Stones Throw Away, Homebreakers) e manifesti politici (Internationalists) a garantire il successo presso il pubblico, anche negli USA, sono il R&B di Walls Come Tumbling Down e il soul-funk di Shout To The Top.
Dopo Home And Abroad: Live!, album dal vivo, che raggiunge l’8° posto della classifica inglese, arriva tuttavia improvviso il declino. The Cost Of Loving del 1987 è infatti un lavoro mediocre. L’anno successivo viene realizzato Confessions Of A Pop Group, un album ambizioso con lunghe suite di brani jazz e sofisticatissimi arrangiamenti orchestrali, ma anche questa volta l’accoglienza resta tiepida, con un un nuovo flop dal punto di vista commerciale. La Polyrod nel 1989 rifiuta di pubblicare il quinto album in studio Modernism a New Decade un lavoro con forti connotazioni techno pop. La vicenda segna di fatto lo scioglimento degli Style Council. Weller si ritrovato per la prima volta da quando aveva 17 anni senza una band e senza un contratto discografico, letteralmente abbandonato dal grande pubblico. Malinconicamente per 2 anni, come un musicista in disgrazia, il Modfather si ritrova a suonare ogni sera in piccoli pub davanti a poche decine di persone. Solo nel 1992 viene presa la decisione di rientrare in studio grazie alla firma di un contratto con l’etichetta Go!.
Viene così pubblicato l’omonimo album Paul Weller, ancora troppo legato alla precedente esperienza pop, ma che ha comunque il merito di consentire il rientro sulla scena musicale e dare l’avvio ad una splendida carriera solista. Il successo si riaffaccia l’anno successivo, Wild Wood è infatti un album splendido dal sapore un po’ retrò con ballate acustiche solari e gioiose come Foot on The Mountain, All the Pictures on the Wall, affiancate da brani più rock come Sunflower. Paul Weller da vita quasi ad un’esperienza intima, quasi un mettersi a nudo per tirare fuori tutto se stesso. Una testimonianza del proprio stato d’animo rispetto al passare degli anni (A lot of words but no one talking/I don’t want no part of that/Something real is what I’m seeking/One clear voice in the wilderness).
Wild Wood da l’avvio ad una vera e propria trilogia, infatti, dopo il live Live Wood (1994) che rilegge i classici della sua carriera, arrivano Stanley Road nel 1995 e Heavy Soul nel 1997 nella quale esprime il massimo della sua maturità musicale. Stanley Road, che prende il nome della strada di Woking, dove era cresciuto, lo riporta ai vertici delle classifiche per la prima volta dopo decennio e continuerà ad essere il suo album più venduto anche grazie ad uno stile più chitarristico come negli anni migliori dei Jam. Dall’album vengono estratti quattro singoli tutti con grande successo The Changingman finisce addirittura al 7° nella classifica dei singoli del Regno Unito, You Do Something to Me è al 9° posto, mentre Out Of The Sinking e Broken Stones e si fermano, si fa per dire, solo al 16° e al 20°. Soprattutto You Do Something to Me rappresenta l’ennesimo piccolo gioiello, una profonda e coinvolgente canzone d’amore (You do something to me/something deep inside/I’m hanging on the wire/for love I’ll never find/You do something wonderful/chase it all away/mixing my emotions/throws me back again/Hanging on the wire yeah/I’m waiting for my change/I’m dancing through the fire/just to catch a flame feel real again).
Anche Heavy soul è un grande successo di pubblico, forse anche perche si presenta più grezzo e sporco, decisamente guitar oriented, con grande uso di feedback e distorsioni. Svettano il blues irruento di Peacock Suite, l’epicità di Brusch e i momenti più soft di Friday Street e Up In Suze’s Room. Dopo tanta grazia Heliocentric (2000) e Ilumination (2002) sono tutto sommato episodi minori, nonostante la presenza di qualche brano degno di nota come Frightened, Loveless, He’s the keeper, Sweet Pea e There’s no Drinking, After You’re Dead.
Tra i due lavori Weller si imbarca in una emozionante tournée teatrale acustica affrontata in solitudine con un’atmosfera spoglia ed intima. Il repertorio proposto, catturato dal live Days Of Speed (2001), spazia a 360 gradi sulla sua discografia, andando a ripescare successi recenti e hit del passato come un piccolo dono fatto a se stesso e ai propri fan.
Nel 2004 arriva Studio 150, un album di cover (Tim Hardin, Bob Dylan, Burt Bacharach, Neil Young), ben accolto anche in Italia grazie al lancio del singolo Wishing on a star. Nell’ottobre 2005, preceduto dal singolo From the Floorboards Up, arriva As Is Now, che la critica saluta come un ritorno alla piena forma artistica, ma a cui il pubblico non riserva un buon riscontro commerciale.
In effetti As Is Now è un buon lavoro godibile ed ispirato con pezzi notevoli come Blink And You’ll Miss It, Here’s The Good News, All On A Misty Morning ma, quasi schiacciati dalla bellezza degli episodi di Wild Wood e Stanley Road. Che il periodo sia tutt’altro che di crisi lo testimonia l’anno successivo il doppio Catch-Flame ulteriore live tratto dal tour di As Is Now. Registrati il 5 dicembre 2005 all’Alexandra Palace di Londra in compagnia di Steve Cradock (chitarra), Damon Minchella (basso) e Steve White (batteria), suoi collaboratori negli anni della rinascita, i 23 titoli Catch-Flame mettono in mostra un suono secco e vintage con una sequenza iniziale che mozza il fiato con The Weaver, Out of the sinking, Blink & you’ll miss it. Poi i ritmi rallentano e l’atmosfera sia fa più soft e con eccezione di un’acidissima In The Crowd ci sono offerte una manciata di splendide ballate. Si chiude infine in crescendo con il coinvolgente il soul di Broken Stones che sfuma nei ritmi funk di Long Hot Summer, prima di una doppietta che manda in visibilio il pubblico Shout To the Top e soprattutto A Town Called Malice.
Nel 2008 per festeggiare i 50 anni, viene pubblicato l’undicesimo disco da solista 22 Dreams quasi un album doppio con i suoi 22 brani nei quali viene messo in mostra tutto ciò che è stato il brit-rock: rock, funk, soul, psichedelia, jazz.
Weller riserva non poche sorprese, realizzando uno di quei lavori in cui la visione d’insieme vale più dei singoli episodi. La sequenza delle canzoni ci consegna infatti un disco a strappi, con momenti di quiete con pianoforte, arpe e archi (Black River, Empty Ring, Invisible) cui si contrappongono deflagrazioni di garage rock e psichedelia (22 Dreams, Push It Along ed Echoes Round the Sun). Ma non mancano bizzarrie e veri e propri azzardi come le atmosfere indiane che aprono e chiudono il disco (Light Nights, Night Lights) e God una lettera aperta all’onnipotente recitata da Aziz Ibrahim, ex chitarrista degli Stone Roses e musulmano di provata fede. Per non parlare di Song for Alice, uno strumentale in puro stile afro jazz dedicato alla moglie di John Coltrane con Robert Wyatt alla tromba.
Il resto è storia di questi giorni Wake Up The Nation traghetta il Modfather nel nuovo decennio con sedici brani brevi, diretti, minimali, impetuosi. Alla fine quindi un rocker che metaforicamente ha vissuto almeno tre volte. Una sorta reincarnazione del rock come può esserlo solo chi è cresciuto suonando i pezzi degli Who, ammirando i Clash e ascoltando i dischi della Motown. < <Mentre vivi ti capita di cambiare, anche molto, e questo è normale, ma è solo a molti anni di distanza che puoi finalmente vedere il filo conduttore che ha legato tutti i tuoi cambiamenti>>.
Autore: Alfredo Amodeo
www.paulweller.com