A noi italiani piace il rock. Inutile nasconderlo, i gruppi nascono e crescono sotto l’inevitabile immaginario di chitarre che urlano, bassi che pulsano, batterie che picchiano, amplificatori che scoppiano, cavi pedali e jack sempre tra i piedi. Poco spesso c’è quell’attitudine/estetica punk sotto il cui segno ogni rock-band a stelle e strisce fa i conti, ma restiamo comunque degli appassionati di elettricità. Ed elettricisti sono anche i Vanillina, secondo la più canonica delle terne chitarra-basso-batteria.
E sono contraddittori i sentimenti generati da “Spine”, terzo album – più un mini d’esordio – del trio comasco. Se da un lato emergono buoni spunti tra post-rock a marcata impronta chitarristica e punk-rock (‘Frost’ fa un verso niente male ai Buzzcocks), dall’altro si fa largo un registro stilistico gravato dal peso di un’ingombrante eredità di rock italico. E in quest’ultimo senso gioca un ruolo quasi nefasto la voce di Davide, raramente in grado di domare i suoni intorno – e quando ci prova può ricordare uno sfiatato Edda dei Ritmo Tribale.
Insomma, che ce ne facciamo di “Spine”? In fondo abbiamo una chitarra, tagliente e incisiva, che sa giostrarsi bene tra accelerazioni, pause e repentine riprese; un sound potente e pulito; una personalità che sta portando a compimento la sua pratica per acquisire riconoscibilità. Le insidie vengono dalle tagliole dei luoghi comuni sparse qua e là nel territorio stilistico che i tre hanno scelto. Si tratta di esprimere appieno la capacità di scansarle tutte. Ed è una capacità di cui i Vanillina non sembrano difettare. Se non c’è tre senza quattro, avremo il privilegio di sentirli ancora…
Autore: Roberto Villani