Riff di chitarra che arrivano a raschiare il sottocute, un programming abbastanza spinto che nulla toglie comunque ad un electrodrumming molto incisivo, tastiere che disegnano arabeschi a volte ambient a volte horror. Per la serie: le nuove frontiere dell’estremismo.
Quelli che un tempo erano Dissection e Swordmaster hanno cambiato monicker e abbracciato un’altra filosofia di vita che il vocalist Whiplasher descrive: “I am all that you see. I am all that you want me to be”. Se agli esordi erano sostanzialmente death metal ora i quattro suonano un industrial arroventato, mischiando Rammstein e Ministry a Marilyn Manson e Fields of the Nephilim. Lo fanno bene, devo dirlo, e non era facile. Poteva uscirne fuori un’accozzaglia di genere assolutamente indigeribile, invece le pulsazioni sono reali e le sensazioni positive anche quando in un paio di episodi (“White Wedding” e “The Rape”) si sfiora il technometalpop. Non sono sorpreso: un motivo doveva esserci se hanno conquistato l’high rotation sulle radio pubbliche svedesi e sono saliti molto in alto nelle charts. Questo non toglie valore ad un prodotto facilmente assimilabile, nonostante un sound che potrebbe sembrare ripetitivo. Inoltre il cantato alla Type O Negative regala una certa suggestione anche a quello che rappresenta, di solito, l’anello debole della catena industriale. Pezzi come “New Dead Nation” e “Genocide” lasciano il segno.
Esame superato, dunque. Resta un dubbio, anzi me ne restano due: come faranno i nostri a rendere al meglio la dimensione live di un progetto nato e cresciuto in studio tra mille accorgimenti e soprattutto cosa semmai attendersi musicalmente da un secondo album dopo che il primo ha detto tutto. Un doppione lo troverei soltanto inutile.
Autore: Antonio Mercurio