Gli Stella Diana non sono dei novellini della scena rock italiana. Dario Torre (voce e chitarra), Giacomo Salzano (basso) e Davide Fusco (batteria) arrivano al quinto lavoro discografico in nove anni di egregia carriera nel sottobosco della scena indie-shoegaze italiana diventando il punto di riferimento nazionale. Dopo i lavori Supporto Colore del 2007, Gemini del 2010, 41 61 93 del 2014 e Alhena del 2015 pubblicano per i tipi della Vipchoyo Sound Factory Nitocris un distillato dolce e malinconico di raffinato shoegazing e new wave. Stimati all’estero, non pochi gli attestati di stima da parte della stampa specializzata, i nostri ricordano molto un’altra band napoletana che negli anni 90 portava avanti la scena new wave e dark locale, ovvero i Trees (ex Walking Trees); però gli Stella Diana sono più maturi e decisi e lo confermano in brani eccellenti come M.9 o il singolo Sulphur.
Dicevamo che sono gli alfieri del cosiddetto italo-gaze e per questo trovo inutile paragonarli ai soliti nomi che sul finire degli anni 80, e per tutti i 90, hanno inciso per label come la 4AD o Creation: Cocteau Twins, The Jesus and Mary Chain, Dead Can Dance e così via. Gli Stella Diana dimostrano personalità e per certi versi si cimentano più in un dream-pop eccelso come in Aprhodia nel quale riecheggiano i primissimi Charlatans, Ride e in generale la scena di Manchester.
Il trio napoletano ha una caratteristica delineata, netta e decisa con un sound oscuro ed etereo che grazie ad un ritorno ad un cantato in inglese prende una forma più completa e affascinante.
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autore: GianDino Daino