Regia: Anton Corbijn. SCENEGGIATURA: Andrew Bovell Cast: Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Rachel McAdams, Willem Dafoe, Daniel Brühl.
Amburgo è la città in cui Mohamed Atta pianificò gli attentati dell’11 settembre, da quelgiorno la città anseatica è divenuta un luogo da tenere sotto osservazione. Tredici anni dopo con sullo sfondo il gelido clima di sospetto generato da quel dramma, seguiamo le vicende di Gunter Buchmann (Philip Seymour Hoffman), capo di una piccola unità antiterrorismo, un uomo dedito al lavoro di strada, convinto di farlo come è convinto delle idee che lo guidano, anche se continuamente svilite da una burocrazia arroganza quanto miopie. Per questo Buchman è una persona disillusa, stanca, ferita, costretta, suo malgrado, a riscattare un passato pesante. La sua ossessione è Faisal Abdullah (Homayoun Ershadi) uno stimato esponente della comunità Islamica, le cui attività benefiche non sarebbero, tuttavia, che una copertura per finanziare una rete terroristica jihadista. Ad aiutarlo ad incastrare il finanziatore del terrore Yssa Karpov (Grigoriy Dobrygin), un profugo ceceno in fuga da un carcere russo ed entrato clandestinamente in Germania nel disperato tentativo di rifarsi una vita. Tratto da un romanzo del 2008 di John Le Carré, La spia – A Most Wanted Man è un film amaro e pessimista quanto magistrale nel mettere in mostra tutta la disillusione di un mondo in difficoltà nel ritrovare sguardi e comportamenti equilibrati dopo la ferita dell’11 Settembre.
Anton Corbijn si trova a ripercorre, nuovamente, la strada del genere spionistico, ma se in The American, si era mostrato assai poco ispirato, questa volta, al contrario, è abilissimo nel costruire un film classico,dove la potenza del dramma umano accompagna la chiara e lucida costruzione degli intrecci. Come è stato per Zero Dark Thrity e per La Talpa anche La spia – A Most Wanted Man, infine, si giova di un focus tutto incentrato su l’esplorazione di quella zona grigia popolata da personaggi che non sono né del tutto eroi né del tutto vittime, non del tutto buoni o cattivi.
Tirando le somme, un gran bel film, impreziosito da una sceneggiatura solida, da una regia elegante e da un gruppo di attori in gran forma (Willem Dafoe, Robin Wright e Rachel McAdams), eppure, liberando il campo dalle ipocrisie, tutto impallidisce e scivola in secondo piano di fronte all’immenso Philip Seymour Hoffman. Un gigante della recitazione dotato di una presenza scenica straripante, straordinario nel trasmettere con pochi segni la sofferenza e l’ossessione del personaggio. Va a lui il merito di un finale intriso di rabbia e insoddisfazione. Un momento difficile da dimenticare, grazie ad uomo che ci ha lasciato un vuoto incolmabile.
autore: Alfredo Amodeo