autore: Antonio Caputo
“A new career in a new town”- è la mostra fotografica su David Bowie a Berlino, che si sta tenendo dal 29 Novembre all’Ono Arte Contemporanea di Bologna e rimarrà in cartellone fino al 17 Gennaio.
Si tratta di 100 scatti, fatti da 15 diversi fotografi, integrati da filmati video che documentano gli anni del Duca Bianco nella Berlino di fine anni settanta ancora divisa dal muro, dove inciderà i 3 album sperimentali entrati ormai nella leggenda: Low, “Heroes” e Lodger.
100 scatti che partono dalla metà degli anni settanta e Bowie sente il bisogno di fuggire da “quel grande cesso di Los Angeles”- così amava definire la citta degli angeli- dove ha raggiunto successo, fama, ma anche dipendenze come la cocaina e una paranoica ossessione per l’occulto.
È appena uscito il suo ultimo album “Station to station” e sta girando alle riprese del film “l’uomo che cadde sulla terra”, di cui è il protagonista. Nonostante ciò, le sue condizioni sono precarie, sia dal punto fisico che mentale: i rapporti con sua moglie Angela sono ormai agli sgoccioli, la situazione finanziaria comincia a vacillare e a causa delle droghe riesce a nutrirsi solamente di gelati, latte e peperoni. C’è la necessità di andarsene, di cercare nuovi stimoli, nuove influenze e tutto ciò si trovava a Berlino: la Berlino di Isherwood, dell’espressionismo e della musica elettronica.
Decide di partire con il suo amico Iggy Pop, anche lui messo male a causa dell’eroina e poi gli è appena stato diagnosticato un sintomo del disturbo bipolare; ma i due hanno intenzione di disintossicarsi. Molti li danno per spacciati. Bowie e Pop si mettono subito a lavorare su un nuovo album di Iggy, The Idiot, una sorta di Low embrionale; la lavorazione dell’album è terapeutica, ma i momenti di sobrietà si alternano con brusche ricadute: per ridurre la dipendenza i due si rifanno con l’alcol, passando le notti a bere da un bar all’altro, per poi scorrazzare per la città con la capote abbassata in cerca di qualcosa da fare. Una di quelle notti, i due si trovano nel parcheggio dell’hotel in cui soggiornano, guidando in tondo, sfiorando i 160 km/h, pensando di farla finita schiantandosi contro un pilastro del parcheggio; scelto il pilastro, finisce la benzina: la tragedia è stata evitata.
La vera cura inizierà due settimane dopo, con le sessioni di Low, dove Bowie è affiancato da Brian Eno, che gli fa da musicista e da motivatore, e dal suo fido produttore Toni Visconti; i tre insieme ad altri validi musicisti daranno vita al primo di tre album, che con la loro sintesi di avanguardia elettronica, rock’n’roll e world music hanno aperto la strada alla new wawe, al synth pop e al movimento New Romantic degli anni 80, influenzando intere generazioni di musicisti.
Le sessioni di “Heroes”, saranno più rilassate, parteciperà anche il chitarrista Robert Fripp, e la vita di Bowie è cambiata: si gode l’anonimato, va in giro per musei e per la città scovando le sue fonti di ispirazione e riesce a sviluppare un metodo di lavoro del tutto innovativo.
La trilogia si conclude con Lodger, registrato tra Montreaux e New York e per questo viene definito stilisticamente lontano da i due precedenti. Può darsi, ma è altrettanto sperimentale e innovativo da poter influenzare i futuri sogni “world” di Peter Gabriel e Paul Simon e quando questi ultimi hanno messo in pratica i loro mondi onirici, Bowie era già da tutt’altra parte.