La notizia era di quelle ghiotte: la seconda parte del 2009 avrebbe consegnato al mercato musicale il nuovo, terzo album dei Kings of Convenience, giunti al successo planetario con Riot on an Empty Street, un successo forse inaspettato per i cavalieri di un genere di nicchia come il folk indipendente, tanto da aver fatto vacillare la compattezza del gruppo. E perciò, ci voleva forse una lunga pausa. Rieccoli adesso, Erlend Øye e Eirik Glambek Bøe, norvegesi doc ma alfieri di un genere tanto americano nella sua tradizione, che i due rinnovano con sfumature venate di malinconia post-moderna, e evoluzioni chitarristiche molto indie. Declaration of Dependance ha una produzione che si muove fra Città del Messico e Puerto Vallarta in Messico, gli appartamenti privati di Erlend in Norvegia, e anche un po’ di casa nostra, precisamente all’Esagono Studio di Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, città del loro produttore artistico Davide Bertolini.
Un motivo in più per ascoltare con attenzione questo disco, che si presenta sin dalle prime battute più scarno, più essenziale, incentrato solo sulle due chitarre e le due voci.
I due si divertono a sperimentare tutte le possibili opzioni della classica situazione di duo acustico (ispirati, anche in questo, a Simon & Garfunkel di cui, si può ormai dire senza dubbio, sono gli eredi definitivi): 24-25 è nebbiosa e dark come i pezzi più ispirati del loro collega Josh Tillmann, Mrs Cold è una sorprendente bossanova in chiave norvegese, il singolo Boat Behind è un pezzo pop nella versione meno pop possibile (solo pochi archi supportano qui l’acustica integrale del pezzo), Rule My World un pezzo divertito e solare, My Ship isn’t pretty una ballata difficile e quasi da menestrello.
Erlend Øye ha dichiarato di aver fatto “il disco pop più ritmico che sia mai stato fatto senza percussioni né batteria”, e ciò rivela la loro intenzione più profonda: colpire e stupire con l’assoluta integrità di due chitarre cercando di ricavare da essere ritmo e atmosfere poppeggianti e solari, ma senza rinunciare agli episodi più profondi e di chiara ispirazione nordica, che sono alla fine ciò che del disco rimane forse più nel cuore (si pensi alla waitsiana Renegade, o all’autocitazione di Riot on an Empty Street, o ancora all’intimista Power of Not Knowing).
Il disco è bellissimo, e consacra il duo mettendolo fuori pericolo dalla deriva commerciale in cui rischiavano di precipitare dopo il troppo successo di pezzi come Misread. E anche se indie lo sono ormai poco visto che l’etichetta è la Source, di proprietà EMI, bisogna dire che i due ragazzotti norvegesi hanno mantenuto alte le aspettative e anzi hanno composto un album più difficile e meno immediato del precedente, ma forse proprio per questo più bello. Divieto assoluto di ascoltarlo in cuffia mentre si è in metro o per strada nel traffico. Prendetevi la vostra ora di pace e di ispirazione a casa sul divano con lo stereo ad alto volume. E la Dichiarazione di Dipendenza (dalla buona musica, evidentemente) sarete pronti a sottoscriverla anche voi.
Autore: Francesco Postiglione