C’era un tempo in cui il rock australiano era un vero culto dalle nostre parti. E gli Hoodoo Gurus tra i massimi sacerdoti dell’Aussie-rock. Ogni loro disco era un piccolo evento atteso febbrilmente, così come ogni concerto che finiva per toccare gli italici lidi.
Mentre in madre patria Dave Faulkner e soci continuano a essere una delle band più rispettate e venerate, in Italia i riflettori sulla scena australiana si sono spenti da tempo e questo black out ha coinvolto anche loro. Ed è un vero peccato perché i Gurus sono più in forma che mai. Già il precedente “Mach Schau” del 2004 era un signor disco e adesso il quartetto riconferma il suo stato di grazia con “Purity Of Essence”. Un album di una band matura che possiede ancora molte frecce al proprio arco. Una su tutte: lo straordinario songwriting.
Così, ventisei anni dopo il folgorante debutto di “Stoneage Romeos”, i Gurus tirano fuori 16 tracce in cui si permettono il lusso di cambiare più volte registro sonoro senza intaccare il fil rouge che tiene assieme il canovaccio dell’album. Con risultati spesso esaltanti. Come nell’iniziale “Crackin’ Up”, un brano destinato a diventare un classico per via dell’imbattibile tiro power-pop, chitarre sature e taglienti che sottolineano l’indiscutibile vena melodica.
Stesso discorso per “What’s In It For Me?”, uno dei brani più belli venuti fuori dal cilindro di Dave Faulkner e dalla sei corde di Brad Sheperd: un’esplosione di solarità ed energia. Ma, come dicevamo, in “Purity Of Essence” gli Hoodoo Gurus non devono sottostare ad alcun clichè e piazzano senza soluzione di continuità una ballata ipnotica e malinconia come “Are You Sleeping?” e un episodio quasi ska-core, con i fiati sparati a mille, come “Burnt Orange”. Oppure al rock’n’roll impreziosito dai cori femminili e virato verso il R&B di “I Hope You’re Happy” fanno seguire il robusto mid-tempo di “Ashamed Of Me”. E se “Over Nothing” è una canzone lenta e introspettiva, con una voce cavernosa, “Only In America” è uno straordinario pezzo funk che potrebbe sbancare le classifiche con quei cori in falsetto.
In “Let Me In” Dave Faulkner, Brad Sheperd, Rick Grossman e Mark Kinsgsmill sembrano una versione hard dei Knack, mentre in “Evening Shade” firmano un episodio al contempo intimista e dinamico, prima di piazzare il colpo del definitivo KO con “1968”, altro potenziale hit, e concludere poi con l’ennesima ballata, “The Stars Look Down”.
Per chi scrive, già da ora, disco dell’anno.
Autore: Roberto Calabrò