Al Maximum Festival, cinque giorni di rock selvaggio e ad alto voltaggio organizzato dalla Go Down Records tra le freschissime colline della marca trevigiana, sono due le linee guida musicali che è possibile seguire: l’hard rock tendenzialmente heavy-psych (con tutte le conseguenze blues che esso comporta) e lo street rock n‘ roll (con tutte le conseguenze garage-glam che esso comporta). Una vetrina per molti gruppi italiani dediti ai generi summenzionati che purtroppo, se non fosse stato per i grossi nomi presenti, avrebbe avuto ancora meno rilievo. Eppure c’è una fierezza di fondo nelle scelte sulla magnifica location così poco a portata di mano e nella assoluta indipendenza ed autonomia delle bands convocate e dei generi suonati rispetto ai festival finto ‘indie-alternative’ tanto di moda ormai dappertutto. Come purtroppo è vero che certe scelte si pagano e questo è facilmente ravvisabile nelle scarsa affluenza, varietà di pubblico e risonanza mediatica, per non parlare poi di certe affermazioni inevitabili di come queste espressioni del rock siano ormai solo un affare per vecchi parrucconi. Noi consapevoli di tutto questo simpatizziamo per l’organizzazione (incluso il personale dei Santissimi Angeli, il locale per bikers sui cui spazi si è tenuto il festival che prende il nome dalla località) ma affermiamo anche che esiste una differenza tra la passione per certe sonorità anni settanta e l’inutilità di certi insistiti clichè ‘ac/dc – motley crue’ sostanzialmente ridicoli. Ribadiamo però che ciò non toglie un’oncia di onore a chi ha portato fin qua i Bellrays (purtroppo persi), gli strepitosi Ojm, ormai nota formazione trevigiana che travolge come il fiume MC5 in piena e Nebula e Firebird di cui parleremo. La formazione di Eddie Glass fatica a prendere il volo, per problemi tecnici soprattutto ai suoni della chitarra; l’insofferente leader non riesce più a continuare e quasi umiliando il fonico con un antipatico (ma verissimo) “it sounds like a shit” interrompe un brano a metà. Dopodichè è stato tutto un vortice di elettricità hendrixiana e memorie psichedeliche, e gli ex Fu-Manchu ormai rientrano a pieno titolo nel gotha dello stoner-rock, rivendicando un’identità ed un suono ben precisi, in un giusto equilibrio a metà tra l’heavy e lo speziato. Amalgamando bene vecchi e nuovi brani, il concerto è stato molto fluido, nonostante la poca simpatia scenica dei Nebula ma il mestiere e la vicinanza fisica al palco ha fatto si che in quel vortice fossimo tutti risucchiati. Nella serata successiva invece l’uccello di fuoco non ha avuto nessun problema a spiccare il volo fin da subito, in alto e ad ali spiegate senza mai perdersi. Simpatico lo show nello show del presentatore che ha presentato i Firebird come uno dei gruppi più importanti del rock senza circostanziare questa generica affermazione (e già il pubblico intuendo il presunto livello alcoolico generale sghignazzava) e ha introdotto Bill Steer come un ex-membro degli storici Napalm Death e dei..ebbene si..Craccass!! Inutile dire le ghiotte risate che si son levate, anche da parte degli stessi musicisti. Ed in questo allegro clima da festa campagnola i Firebird hanno restituito un potente hard-blues di gran classe ed eleganza, con il bassista Harry Armstrong, un hobbit delle Terre di mezzo, ex-Hangnails con un taglio degno dei migliori Blue Cheer e che canta anche nella cover “Superstition” e Ludwig Witt, batterista degli Spiritual Beggars a sancire i presupposti che animano da quarant’anni i power trio dell’hard rock, siano essi Cream, Yardbirds, Experience o chiunque altro. Ma è il quasi introspettivo Bill Steer a stupirci con la sua voce quasi alla Steve Winwood, a tratti canterburyana ed un solo di armonica alla Plant impazzito. E pensare che questa gente viene anche dal grind e dal death: meraviglioso. Lunga vita al Maximum. Rock n’ roll.
Autore: A. Giulio Magliulo
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