Ritornano, più graffianti che mai, i Garbage, al secolo Butch Vig, Steve Marker, Duke Erikson, Shirley Manson, con il settimo album in studio No Gods No Masters, uscito l’11 giugno su Stunvolume/Infectious Music, interrompendo un digiuno che risale al 2016, se si eccettua la ripubblicazione di Version 2.0 per il ventennio del disco.
Il primo singolo, The Men Who Rule The World, critica feroce all’ascesa del capitalismo, al razzismo, al sessismo e alla misoginia, è un brano di protesta e soprattutto un biglietto da visita, una chiara dichiarazione di intenti di una band che crede ancora, bontà loro, nel potere del dissenso. Ha per l’occasione un video roboante, diretto dal regista, animatore e pittore cileno Javi. MiAmor, ed è un po’, insieme a Waiting for God, la chiave dell’ispirazione “sociale” dell’intero disco.
“Questo è il nostro settimo album, e il suo contenuto è stato altamente influenzato dalla numerologia: le sette virtù, i sette dolori e i sette peccati capitali”, dice la frontwoman dei Garbage Shirley. “È il nostro tentativo di trovare un senso al mondo caotico in cui viviamo. È l’album che sentivamo di dover incidere in questo momento”.
L’album è nato nel 2018 dalla collaborazione di lunga data con Billy Brush, inciso all’inizio nel deserto a Palm Springs e poi lavorato singolarmente dai quattro fino a ritornare a Los Angeles per chiudere insieme il nuovo disco. Come tutte le band storiche, anche i Garbage cedono alla tentazione dell’edizione deluxe, che include delle cover di brani classici, tra cui Starman di David Bowie e Because The Night, di Patti Smith e Bruce Springsteen, realizzata insieme alla band punk rock americana Screaming Females.
Fatto più interessante, la versione deluxe contiene inoltre alcuni brani rari dei Garbage come No Horses, On Fire, Time Will Destroy Everything, Girls Talk, The Chemicals e Destroying Angels, configurandosi quindi come un vero e proprio disco di b-side.
Incuranti delle limitazioni Covid, che almeno in Italia hanno visto un nuovo rinvio di un anno di tutti i concerti programmati per questa estate, i Garbage andranno in tour in Inghilterra a breve con la loro ispiratrice e musa Blondie, per alcune tappe tra agosto e novembre che si presentano come interessantissime dato il connubio intrigante e inedito.
Aggressivi più che mai, i Garbage hanno scelto toni forti, nei testi, per quest’ultimo disco, accompagnandoli a un sound più dark e elettronico rispetto al consueto. Siamo ancora nel solco del pop-rock che li contraddistingue da venti anni, ma c’è nel disco il chiaro intento, riuscitissimo, di trovare anche una maturità testuale e sonora, una maggiore profondità e drammaticità, sia nei tsti che soprattutto nella musica.
“Hate the violator, destroy the violator,” dice Shirley nel primo singolo, riferendosi proprio a quegli uomini che governano il mondo che hanno violato le regole del buon senso e della morale e mostrando quanto sono incattiviti i quattro di Madison. E a ribadire il concetto interviene una canzone come GodHead, fortissima e aggressiva nello schierarsi contro la misoginia e la discriminazione di genere, con tinte testuali forti.
O ancora, ed è la più bella di tutte, una canzone come Waiting For God, che muove contro il bigottismo che nasconde dietro di sé violenza e razzismo.
Senza dubbio queste tre canzoni racchiudono ed esemplificano una delle due anime del disco, quella più estroversa, protestataria, incazzata: e per esprimere tutto questo i Garbage scelgono l’elettro-punk, chiaramente ascoltabile in GodHead, forse il pezzo più maturo e innovativo musicalmente del disco. Nel far questo, i Garbage, non nuovi a citazioni, tributi e cover, inneggiano a una band classica come i Depeche Mode, dei quali citano la svolta rock degli anni ‘90 e degli ultimi dischi da Playing the Angel in poi. Godhead e Waiting for God sono quasi delle cover implicite, e per ciò stesso probabilmente i pezzi migliori, come anche A Woman Destroyed, tessuta di una trama musicale densissima. Ma anche The Men Who Rule the World e la funambolica The Creeps e la sorprendente Anonymous XXX sono cattive, elettriche, piuttosto punk, pur cercando qui altra ispirazione, più legata al rock anni ’70 di Blondie. Uncomfortably me rappresenta invece una pausa in questa ricerca dark e punk, e contemporaneamente illustra la seconda anima del disco, più intima, più introversa, legata a introspezione testuale come anche nella bellissima The Wolves, che insieme all’altra sono quasi una seduta auto-psicanalitica di Shirley davanti allo specchio.
I Garbage anni ’90, quelli più freschi, leggeri, più ariosi, più pop, fanno capolino soltanto alla fine, con Flipping the Bird e No Gods No Masters, inno abbastanza facilotto e musicalmente suadente alla ribellione, che sembrano veramente usciti dai dischi d’esordio, e non può che chiudere questa sequenza, e l’intero disco, una ballad come This City Will Kill You, forse l’unica canzone un po’ anonima del disco che per il resto scorre dalla traccia 1 alla 10 in maniera terrificantemente serrata, durissimo e compatto, pieno di soluzioni sonore intriganti, che rivelano una maturità artistica invidiabile, e una complessiva impostazione dark di questo ultimo lavoro, degno della loro migliore discografia.
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autore: Francesco Postiglione