Il terzo album si configura ancora una volta per le rock band come l’album del destino. Gli Alt-J, che certo non dovevano la loro popolarità a questo disco, trovano però in Relaxer, uscito sotto etichetta Infectious all’inizio del mese di giugno, il loro miglior prodotto sino a qui, e soprattutto trovano quel suono definitivo che mescola il loro già preesistente marchio di fabbrica con la scoperta di nuove capacità, nuove atmosfere, nuovo spessore musicale.
L’album è stato registrato con il produttore Charlie Andrew in varie zone di Londra e arriva a tre anni di distanza da This is all yours che debuttò al n °1 in UK e venne nominato ai Grammy e ai Brit Awards come miglior album dell’anno. Joe Newman, Gus Unger-Hamilton e Thom Green hanno prima raggiunto la popolarità e il successo (l’album di debutto, An Awesome Wave, ha vinto il Mercury Prize e l’ Ivor Novello. Insieme a This Is All Yours, la band ha venduto più di due milioni di copie e le loro canzoni hanno totalizzato più di 1 miliardo di streaming su Spotify) e adesso arriva anche il disco di qualità definitiva, quello che li consacra come una delle band più interessanti di questo decennio.
I suoni sperimentali sì ma a volte ruvidi e un po’ difficili dei primi due dischi, ancora presenti qui in pezzi come Hit Me Like that Snare, o Deadcrush, lasciano qui il posto a componimenti più riflessivi, più lenti, spesso ballate acustiche o semi-acustiche, come la splendida iniziale 3WW, o la bellissima Adeline, o la canzone di congedo Pleader. Un fan della prima ora potrebbe, a ragione, sostenere che qui c’è troppa melodia, troppa facile malinconia, ma va detto che sono pezzi complessi, dallo sfondo epico, e questo rappresenta per gli Alt-J un traguardo ma anche una novità, e le novità sono sempre benvenute. Il segno di questa trasformazione è come i tre rivitalizzano e rendono assolutamente attuale una canzone già molto coverizzata come House of The Rising Sun, dei leggendari Animals, o anche In Cold Blood, che rappresenta la perfetta fusione tra il vecchio sound più duro e la ricerca attuale di suoni profondi e melodici.
L’unico difetto che si riesce a trovare in questo disco è la sua brevità: otto pezzi sono davvero pochi, e molti sono anche troppo brevi, ma è anche vero che la concentrazione di elevata qualità musicale qui è alta, e un disco così val bene tanti dischi da 14 o 15 canzoni.
Li aspettiamo adesso alla prova dal vivo (unica occasione per vederli in Italia il 28 giugno a Ferrara per il Festival Sotto Le Stelle, insieme con i White Lies), ma gli Alt-J non avevano e certo non hanno più bisogno di conferme.
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autore: Francesco Postiglione