Giovedì 30 giugno 2005. Arrivo a Torino alle 17:30. La città è in pieno caos da ora di punta, riesco a destreggiarmi nella rete dei trasporti pubblici con difficoltà, a causa della pessima mappa dei mezzi, ma dopo un viaggio in bus con gente abbastanza alienata e un tratto di strada a piedi, sotto il sole cocente, riesco ad arrivare al Parco della Pellerina, main location del Traffic.
Il parco si è trasformato in una mega paninoteca all’aperto (mai visti tanti furgoni di paninari in così poco spazio), c’è ancora pochissima gente: qualche electro-nerd, pankabbestia sparsi qua e là che si mescolano con i vecchietti che portano a spasso i nipotini e gli edonisti, super attrezzati di creme ed unguenti, che prendono il sole al parco.
Dopo qualche ora viene annunciato finalmente “The director” Chris Cunningham che, salutato il pubblico, regala la visione del suo ultimo lavoro, “Rubber Johnny”, musicato da Apx, video che guardo per la prima volta, come penso molte delle persone presenti. La sincronia video/audio è perfetta come per tutti i lavori della coppia, i suoni diventano immagini e le immagini suoni, alcune scene sono forti e innovative ma non riesco ancora a metabolizzare la forte ironia che contraddistingue questo lavoro e lo differenzia da altre produzioni del regista molto più minimali.
Poi Cunningham comincia a deframmentare e rielaborare loop estratti dai suoi precedenti lavori con Apx quali “Monkey Drummer”, “Flex” e “Come to Daddy”, donando loro nuova forma e nuovo senso. Le immagini sono accattivanti anche se a volte la sincronizzazione presenta qualche pecca.
Mentre Cunningham si esibisce fa la sua comparsa Aphex Twin: dopo aver suscitato un’ ovazione generale della folla già immersa nell’atmosfera “Warp Time”, posiziona il suo laptop sulla console e collega i cavi con la sua consueta calma certosina.
Qualche tempo dopo (nella dimensione Warp è difficile dare dei riferimenti temporali precisi) Chris saluta il suo pubblico e la consolle rimane vuota.
I suoni e le immagini continuano a scorrere, ma il vero e proprio live non è ancora cominciato e Richard D James, come suo solito, si sottrae alla vista del suo pubblico mostrando le ambivalenze della sua personalità, a momenti timida e riservata (quando si nasconde e non ama farsi fotografare), a momenti vanitosa ed egocentrica (quando utilizza il suo volto deformato e moltiplicato all’infinito su corpi di splendide donne o di bambini violenti).
La vera performance ha inizio e Richard comincia ad inondare lentamente la folla con i suoi suoni/rumori perfettamente modulati, suoni dal gusto electro quasi “eighties”, ovviamente rielaborati nel suo inconfondibile stile. Sonorità del genere avrebbero deluso il suo pubblico in un altro tempo, ma in quel momento spazio-temporale, a mio parere, un live troppo ostico sarebbe stato scontato e fuori luogo, e non sarebbe stato certo funzionale per la comprensione del senso della performance; tuttavia comprendere e anticipare i desideri dei suoi ascoltatori è forse una delle peculiarità di questo artista.
La folla comincia a ballare, i corpi, schiacciati l’uno contro l’altro sotto il peso della cappa d’afa, si muovono colpiti dai laser sonici di Apx, mentre sullo schermo centrale continuano a susseguirsi i video di vj-Cunningham che alterna scene del live a frammenti dei suoi universi visionari.
Davanti agli schermi/teatrini ai lati della consolle due uomini posizionano due figure femminili vestite di bianco con il capo abbassato e il volto celato dai capelli. Quando i corpi vengono illuminati e cominciano a muoversi rivelano la propria identità, i loro volti sono quelli dello stesso Richard deformati, come nel video “Window Licker”, la sensazione che si prova è paradossale e dissonante.
Le ballerine si muovono ciclicamente e spasmodiche in una danza tra innocenza e perversione, negli schermi/teatrini le loro ombre vengono destrutturate e ricostruite con l’aggiunta di ombre di altri corpi dando origine ad un’immagine nuova, un puro ornamento estetico, che è più della somma delle sue singole parti.
Forse è proprio questo il senso dell’intera performance, ironizzare sulla cultura mediatica di massa dove i corpi diventano ombre/burattini privi di personalità utilizzati per il solo scopo di riempire dei contenitori/teatrini al fine di distrarre il pubblico e di manipolarlo. Apx continua in crescendo arrivando persino ad alzare le mani al cielo per esortare il pubblico, è visibilmente divertito.
Oramai anche i più scettici ballano all’apice della performance che quasi volge al termine, ma il gran finale è davvero inaspettato. Dall’impianto improvvisamente suonano le note di “Rosso Relativo” di Tiziano Ferro, esempio eclatante del decadimento della musica italiana come afferma una ironica voce fuori campo. Richard è completamente impazzito! A Seguire altre chicche musicali, emblemi dell’alienante cultura-mtv-teen-pop, provenienti da Spagna (“Asereje”) Francia (“Moi Lolita”) e dal resto del mondo.
Dopo qualche interminabile minuto di sofferenza causata da questi tormentoni pop la voce fuori campo si chiede se esiste un alternativa valida, finalmente ritorna il vero sound di Apx che, con una traccia speedcore alla Alec Empire, riporta il caos tra la folla o meglio le ridona pace, allora un’alternativa esiste!
Richard saluta, chiude il suo laptop, lo ripone nel suo zainetto e come un eterno teenager con la sua camicetta colorata si incammina nel back stage.
Autore: Giuseppe Guariniello