Il suo esordio del 2011, O, Devotion!, non ha fatto gridare al capolavoro ma è stato annunciato come inizio di una carriera promettente, salutata già dalla vittoria del Glastonbury Festival del 2007 e dall’invito di John Cale a suonare per il concerto in onore di Nico. Sono stati avanzati, per l’occasione, paragoni con Anais Mitchell e addirittura Ella Fitzgerald che non ci sentiremmo di ripetere, dopo l’ascolto di Haul Away!, secondo lavoro anch’esso uscito per la coraggiosa etichetta Play It Again Sam.
Condividiamo però il giudizio autorevole del periodico inglese Metro, che parla di alternative-folk “irresistibilmente miscelato con un gusto alla chanson francese dal tono vagamente cabarettistico”. In effetti il genere di Haul Away! e in generale della produzione di Liz Green è indefinibile: si spazia da ballate bardiche e medievaleggianti da brughiera irlandese di Penelope o di Battle, attraverso sperimentazioni gitane come in Rybka, fino a prove d’autore anni ’50 opportunamente swingate dal contrabbasso come in Haul Away!, Empty Handed Blues o Where the River don’t Flow, o al gospel-soul tutto piano, fiati e archi di Into My Arms o Rivers Run Deep, dove davvero Liz gioca a imitare le Fitzgerald e le Dietrich di una volta.
Tutto è rigorosamente eseguito in chitarra classica, sessione di fiati, e (pochi) archi: tutto, dalla struttura agli arrangiamenti, sembra rifiutare la contemporaneità e voler dare al disco un suo specifico sapore di out of time, e in questo l’operazione riesce perfettamente. Minimali arpeggi di chitarre, qualche scorribanda, tra il gitano e lo chansonniere, di tromba e violini, e il salto nel tempo è servito.
Peccato solo che a volte il trucco sembri troppo cerebrale, troppo anacronistico per i tempi odierni per non risultare artificioso; anche se i sussulti emotivi non mancano, ma proprio là dove Liz Green e la sua banda dimenticano di dover offrire un tributo a uno stile old-fashioned e si lasciano trasportare dalla lirica del pezzo. Quando questo accade, come nella strumentale Little I tutta giocata su piano e archi, o nella leggera e luminosa Bikya, ne guadagna l’intero album, che resta non certo un capolavoro ma senz’altro una prova entusiasmante di coraggio e alternatività.
www.lizgreenmusic.co.uk
https://www.facebook.com/lizgreenmusic
autore: Francesco Postiglione