Marco Mancassola è uno dei migliori scrittori italiani. Nonostante la sua giovane età, infatti, ha già alle spalle già diversi libri belli e importanti (Last Love Parade per Mondadori piuttosto che Il ventisettesimo anno per Minimum Fax, giusto per citarne un paio) e diverse collaborazioni con riviste varie, una delle quali, ad esempio, è Rolling Stone (per la quale tiene la rubrica fissa Word Machine), ma essendo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, si è buttato a capofitto, da qualche mese a questa parte, in un progetto multidisciplinare: Louis Bode.
Mancassola ha scritto una favola noir, anzi più favole noir tenute assieme da un filo comune e commentate dai disegni di Marco Rufo Perroni, e soprattutto, portato dal suo amore per la musica (Last Love Parade è un saggio sulla musica dance e elettronica, oltre che la storia di un sentimento), si è avvalso della collaborazione di Sergio Bertin e Giacomo Garavelloni, i quali hanno creato un ep di musica elettronica, ispirato dalle parole dello scrittore bolognese, e che fa, ovviamente, da perfetta colonna sonora alle storie. All’interno del cd, infine, c’è anche un video, girato da Nicola Villa.
Kids & Revolutions (Halley Editrice) è il nome del libro e del cd e, ovviamente, vede protagonisti i bambini. Sono favole dark, che suscitano emozioni contrastanti; empatia verso alcuni personaggi, fastidio verso altri, ma che, sempre, ti tengono attaccato alla pagina. Pagine che hanno una pulizia e una precisione impressionanti, ma che si capisce essere scritte da un trasporto emotivo enorme e soprattutto se ne capisce l’urgenza da cui scaturiscono; storie che nella loro semplicità (sono favole non dimentichiamolo!) racchiudono visioni e suggestioni mai banali. E che soprattutto come dice lo stesso Mancassola sono fiabe scritte “per parlare della realtà”.
Gli abbiamo chiesto, quindi, di parlarci un po’ di questo progetto e ovviamente della sua passione per la musica, e leggendo le risposte che Marco ha dato si vede soprattutto il propulsore “politico” (nel senso più ampio e meno usato del termine), che lo ha spinto a creare queste storie.
Raccontare storie per salvare la propria vita. C’è qualche credito verso “notti orientali”?
Le mille e una notte’ è stato un riferimento nella stesura del libro, quanto a struttura e ‘motivazione del narratore’. Il narratore è ostaggio di un mostruoso serial killer che lo immobilizza ogni sera tramite un’iniezione di una misteriosa sostanza. Il narratore tenta di convincere il suo carceriere a smettere queste iniezioni paralizzanti, e in cambio offre dei racconti. L’ambiguità resta però elemento dominante. A differenza che nelle ‘Mille e una notte’, non sappiamo chi stia davvero conducendo il gioco. Il mostro-carceriere ha mille astuzie. Finge di farsi placare dai racconti, ma in quanto mostro postmoderno è troppo astuto per accontentarsi di questo. Nel corso della storie scopriremo le sue vere intenzioni. Il potere salvifico dell’affabulazione, che per secoli è apparso così assoluto, oggi assume un carattere sfuggente: promette di salvarci, forse ci sta tradendo. Chi racconta storie deve stare attento. Crede di colpire il potere, e invece rischia di renderlo più forte.
Come nasce Louis Böde? Da chi è partita l’idea, e come mai la scelta di farne un progetto multidisciplinare?
L’idea è stata per anni nella mia testa. Avevo delle storie, mi interrogavo su come farle uscire. Erano distanti da quel che scrivevo di solito, e le immaginavo soprattutto come un colore, un’atmosfera. Un clima scuro, poetico e violento. Mi interessava il loro risvolto allegorico, e per questo le ho pensate come fiabe, e poiché le fiabe trovano il loro naturale completamento nelle illustrazioni, ho iniziato a cercare qualcuno con cui collaborare in questo. Poi è venuto il resto, l’idea di dare loro un suono, una colonna sonora… Nel gruppo ci siamo io, Marco Rufo Perroni ai disegni, Sergio Bertin e Giacomo Garavelloni alle musiche, Nicola Villa al video. Inoltre ci sono i musicisti che ci accompagnano nei reading-concerto. Louis Böde è un’entità narrativa fluida. È un progetto aperto, un gruppo che lavora su più linguaggi attorno a uno stesso immaginario. La stessa storia acquista varie incarnazioni, varie declinazioni, come un’immagine vista in mille riflessi attraverso l’occhio di un insetto. Io sono uno scrittore e resto tale, non mi interessa fare il musicista o l’illustratore, ma mi interessa dialogare con musicisti e illustratori, piegare la loro materia alla mia, oppure farmi piegare. I linguaggi devono unirsi e persino un po’ combattersi. La questione è aumentare la risonanza comunicativa, emotiva.
Ci sarà un seguito, o nasceva da un’esigenza particolare, soddisfatta da questo Kids&Revolutions?
Louis Böde racconta delle storie… Ci saranno senz’altro altre storie. Come raccontarle –testo, musica, ibrido- sarà deciso di volta in volta.
Cominciamo parlando del libro. Kids&Revolutions è una fiaba a tinte fosche, che raccoglie al suo interno, come una matrioska, altre fiabe. Come mai hai deciso di adottare questa forma?
Come ti ho detto c’era l’ispirazione delle ‘Mille e una notte’. I racconti in sé sono quello che conta, la cornice è il clic che li fa partire, e che insieme permette la loro interpretazione. Una cornice fornisce la ‘motivazione ufficiale’ per cui alcune storie devono essere scritte e lette. Si può ovviamente fare a meno della cornice, ma la ritengo un elemento interessante soprattutto ai giorni nostri, in cui ciò che va in crisi è la ‘motivazione’, la necessità di quella particolare scrittura e della corrispondente lettura. Perché scrivere questa storia, perché proprio questa, e perché leggerla? La cornice narrativa prova in genere a rispondere.
Queste sono storie di bambini (per grandi), connotati, però, non dal nome proprio, bensì dall’elemento che di storia in storia li caratterizza. Come mai questa scelta?
‘Il Bambino Robot’, ‘il Ragazzo Nostalgico’, ‘la Ragazza col Nome di un Fiore’, ‘il Bambino Senz’organi’… I protagonisti non hanno nome, il loro nome è costituito dalla loro caratteristica, dal loro stesso ruolo. Sono personaggi allegorici. Ciò che li contraddistingue è il loro dramma. Ciò che li unisce, invece, è il loro destino. Tutti i racconti hanno per protagonista un ragazzino o ragazzina che, consapevole o meno, scatenerà una rivoluzione, una contrazione, una distruzione/catarsi nell’oppressiva realtà circostante. Il narratore si identifica in loro, poiché il potere di cui è vittima lo ha ridotto a uno stato di dipendenza e impotenza infantile. Lo tratta come un bambino. Il potere si comporta come un’ambigua nutrice. Il potere ha sempre un’ossessione per i bambini, li teme e li circuisce, sono il terreno preferito di ogni propaganda.
Altra cosa che risalta è l’opposizione tra il noir delle storie e il bianco, elemento fondamentale del racconto. Cos’è, la purezza dei bambini che vince sempre?
Non direi. Il bianco in questa storia è liberatorio, ma anche tremendo e distruttivo. Ha un carattere apocalittico, è una specie di realtà finale. Il bianco è l’unione di tutti i colori. È una sintesi della complessa e multicolore realtà, è il lampo unificante che ci attende alla fine. Il mostro che imprigiona il narratore è ambiguo anche in questo: teme il bianco che annulla le differenze, questa sorta di marea finale in cui tutti si riunirebbero, e in cui il suo potere non avrebbe più presa. Al tempo stesso perversamente lo desidera. Il sistema non smette mai di immaginare la propria fine. Il sistema è perverso, fonda la propria durata sullo spavento della fine. La cultura di massa adora le storie apocalittiche.
Cosa è nato prima, il libro, il cd, il video o le immagini? E quindi come si è sviluppato poi il progetto?
Per prime sono nate alcune delle storie. Quello è stato il seme. Poi tutto è proseguito in parallelo. Gli ultimi racconti sono stati scritti dopo le relative illustrazioni, quindi è difficile dire quale espressione abbia influenzato l’altra. Idem con la ‘colonna sonora’.
Queste storie narrano di sofferenza, discriminazioni, vendette, autorità infami, però si chiudono (quasi) sempre con una parola, un’immagine di speranza. Sembra un ritratto della società in cui viviamo. Puro caso?
Certo che no. Si è mai sentito di fiabe fantastiche che non abbiano un richiamo alla realtà esistente? Le fiabe surreali si scrivono da sempre per parlare della realtà… e del modo per uscire da quella realtà. Il racconto fantastico possiede in sé un principio rivoluzionario, perché sposta in là i confini del mondo… Esso immagina un ‘oltre’ che al momento ci sembra precluso. Il primo passo per fondare un altro mondo indubbiamente è immaginarlo.
Ne Il bambino con due anime racconti di un bambino, appunto, stretto tra la volontà di due anime differenti, ma soprattutto di anime in cerca di un corpo. Di troppe anime rispetto ai corpi a disposizione, e ciò che mi ha colpito è che alla fine le anime arrivano a impossessarsi delle merci. Anche qui, non sembra una mera trovata narrativa.
Il racconto di cui parli è, insieme all’ultimo, quello più ‘metafisico’ della raccolta. C’è un bambino la cui vita è distrutta dal fatto di avere due anime diverse incarnate in sé, ognuna delle due con desideri diversi. Le due anime si combattono senza sosta. In un secondo momento si rendono conto che il loro problema è tutt’altro che isolato: nel mondo si sta assistendo a un ‘surplus’ di anime, le anime sono ovunque, si incarnano a decine in un solo corpo, si incarnano negli animali, si incarnano persino negli oggetti. Pur di esistere in qualche forma fisica iniziano a incarnarsi nelle merci. La gente si mette un paio di jeans ignorando che in quei jeans è incarnato un loro avo, beve una coca cola senza sapere che lì dentro c’è il loro amico morto l’anno prima. Il mondo intero diventa un grumo di anime. La barriera tra materia e desiderio si abbatte. È tutta anima, tutto desiderio, tutto contrasto e tutta disperazione.
Colonna sonora di queste storie, ovviamente, sono le quattro tracce elettroniche del cd. Qual è il tuo rapporto con la musica?
Molto forte. Musicalmente i miei due amori sono la musica elettronica su cui ho scritto un libro (‘Last Love Parade’) e quella dark-wave. L’ep ‘Kids&Revolution’ mette insieme queste due anime. I musicisti hanno provato a dare suono all’essenza malinconica, semplice e insieme stratificata delle storie del libro.
In Last Love Parade fai un excursus della musica dance e elettronica. Quanto sei ancora legato a questa musica “oggi che la marea elettronica in parte si ritira, (e) lascia mille detriti sulla spiaggia della cultura di massa”?
Il punto è che quella musica ha rappresentato in pieno il costume (giovanile e non) dello scorso decennio, la cultura di massa e il sentire degli anni 90. Gli anni dell’avvento della rete, di una nuova percezione -ritmica e fluida- della realtà. Ma gli anni 90 sono lontani, la novità è stata ampiamente assorbita, la musica elettronica ha perso il suo ruolo così rappresentativo. È diventata più ibrida, più banale o di nicchia. Niente di strano. Questo non significa che quella musica sia finita. La grande stagione della minimal berlinese ha rimesso al centro le questioni della dance di qualità: ritmo tagliente, ipnosi, romanticismo. Ma è stupido aspettarsi che l’elettronica sia in grado di produrre oggi quel ‘nuovo’ che nessuna altra musica, rock o pop o altro, sembra in grado di produrre. La vera musica nuova, così come la nuova letteratura, la nuova arte eccetera, nascerà quando qualche fatto inedito e catartico irromperà nella cultura umana. L’importante è non smettere di tenere gli occhi aperti.
E in che modo il web ha influito sul cambiamento della percezione della disco music?
Più ancora di altre musiche, l’elettronica e la dance hanno beneficiato delle vie di distribuzione in rete. Tradizionalmente erano musiche non sempre facili, per gli utenti comuni, da reperire sul mercato. Alla loro relativa facilità di produzione corrisponde ora una facilità di distribuzione. Questo significa anche un’inevitabile inflazione della qualità… Ma questo vale ormai per ogni prodotto culturale. L’elettronica, in ogni caso, resta per me la musica della prima ondata di diffusione del web. Non solo per l’immaginario ‘cyber’ che ha caratterizzato la scena techno-rave degli anni 90, ma proprio per la struttura logica e percettiva che sottostava a entrambi i piani (internet e musica techno): la fluidità, il sovraccarico ritmico, la musica ridotta a sequenza di beat- nonché sequenza di bit.
E oggi, la scena nazionale come se la cava?
Sul piano del clubbing malino mi sembra, ma da un po’ ho superato i trenta e non sono più qualificato per dirlo. Sul piano della produzione ci sono cose interessanti. Come in tutti gli ambiti culturali italiani non è individuabile nessun ‘movimento’, nessun piano comune, nessuna onda riconoscibile. Siamo tutti cani sciolti. Sul piano musicale elettronico compaiono a sprazzi delle belle perle – sbucano come dal nulla, dirette chissà dove. Eppure appaiono. Solcano il cielo come meteore struggenti. È il destino della creatività contemporanea. L’ultimo album dei Planet Funk non mi è dispiaciuto. Ho sentito del buon materiale da alcuni ragazzi che si chiamano Montecampione84. Sono le prime due cose che mi vengono in mente.
Per sapere cosa ti è piaciuto dell’anno passato, basta fare un giro sul tuo sito. Ma in questi primi mesi del 2007 cosa segnaleresti?
The Field, ‘From Here We Go To Sublime’ è un album che ascolto molto degli ultimi tempi. Sempre tra gli ascolti elettronici, Jesse Somfay è un produttore che seguo da un anno a questa parte. Poi, sembrerà una scelta poco raffinata, ma non riesco a staccarmi dal disco di Jamie T. Un po’ difficile capire che cavolo dice, ma pazienza. Parlano di lui come dell’ennesimo fenomeno delle periferie londinesi, a me sembra soltanto un musicista promettente. Mi suona come una versione più concreta, e meno prevedibile, di vari gruppi osannati in questi mesi come The Klaxons o The Horrors. Questi gruppi mi appaiono tutti uguali, troppo consapevoli, troppo attenti a fare le citazioni giuste. Mi ricordano il Cavaliere Inesistente di Calvino: gusci vuoti e luccicanti.
Per finire, un classico. Cosa hai nel cassetto per il futuro? La musica c’entrerà ancora?
Nel futuro c’è un grosso, davvero grosso romanzo firmato col mio nome, in uscita per Rizzoli. La musica non c’entra in questo libro, ma c’entrerà in altri miei ‘progetti collaterali’.
Autore: Francesco Raiola
www.marcomancassola.com – www.louisbode.com