Venerdì un teatro e una serata per un concerto atteso, in un ex Asilo Filangieri (l’Asilo) che non è restato orfano di arte.
Per poco più di un’ora, Fred Frith scalzo (come da tradizione) è stato un perfetto artigiano del suono andando a occupare il suo posto nel presepio della Napoli religiosa d’avanguardia.
Seduto su di una sedia, ha iniziato a lavorare la musica sulla sua tavola-chitarra, utilizzando in serie i ferri e gli attrezzi del
mestiere, equamente divisi tra utensili poveri da lavoro (tra le sue mani) e più sofisticati pedali elettrici (sotto i nudi piedi).
In un ideale e concettuale percorso astratto, Frith ha, così, alternato attimi di concreta sperimentazione a passaggi da pastorale
avanguardia.
Le corde e i trasduttori della chitarra sono stati resi pretesto per contribuire alla genesi e alla propagazione di suoni e rumori
articolati da chincaglieria, trottole, panni da cucina, sabbia? E-Bow? … che hanno frammentato e (disin)cantato tanto litanie noise quanto preghiere da sciamano convertito al blues.
Nella magmatica mobilità sovrapposta di loop e improvvisazioni, i punti più alti (a parere di chi scrive) si sono raggiunti nei
soliloqui in cui i fraseggi di chitarra sono riusciti ad aggrapparsi all’orizzonte degli eventi, prima di essere azzerati, nel loro
spazio-tempo, dal buco nero della scomposizione sonora.
Al di là dello spettacolo, la serata si è, poi, prestata a offrire due ulteriori spunti di riflessione.
Il primo è l’annoso dilemma di quale sia il limite tra arte e gratuità quando si esplora l’indefinito universo dell’avanguardia.
Interrogativo che resta oggettivamente inevaso (fatte salve ovviamente tutte le considerazioni della critica specializzata), e la cui
risposta si può solo lasciare alla sensibilità individuale dei singoli soggetti.
Il secondo, meno tecnico e più sociale, è dato dall’(in)coscienza della gente (intesa come mancanza di coscienza) che spesso confonde la libertà con l’inciviltà, soprattutto quando è ospite di strutture per vocazione “aperte”, mostrandosi incapace di vivere con rispetto spazi comuni, abusando così del valore alla base di talune realtà.
Purtroppo, questo, è un malcostume sempre più comune.
autore: Marco Sica
foto: Enzo Schiavo
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