Di dischi come Maledette Rockstar non se ne fanno più, al giorno d’oggi. Un doppio CD con 31 brani ed un voluminoso booklet con testi e disegni è considerata operazione commercialmente rischiosa, in un’epoca in cui il disco è ridotto sempre più a gadget e basta. Ma i Maisie ci credono nei dischi, nel loro potere di diffondere riflessioni e divertimento per un pubblico che abbia voglia di valorizzarli, sentirli propri, condividerli, conservarli con cura laddove lo streaming in rete sembra accentuare della musica un uso consumistico e distratto.
Il gruppo italiano compie con quest’album un’evoluzione importante rispetto al passato, e malgrado Maledette Rockstar sia davvero mastodontico, mantiene tuttavia una sorprendente compattezza e fruibilità, grazie alla grande ricchezza musicale, all’originalità sistematica e ad un linguaggio leggero e brioso orientato ad una forma evoluta di pop, alternative ma al contempo per tutti.
Aggiungendoci dunque un approccio mentale molto libero ed un ampio ventaglio stilistico d’arrangiamento e suoni, tarato sulle caratteristiche di ciascun brano, i Maisie procedono con linguaggio diretto, narrativo, un tempo molto tipico della musica pop italiana, sicuramente fino agli anni 80, ma che poi è stato messo un po’ da parte, a vantaggio di linguaggi astratti, più problematici e ripiegati. In Maledette Rockstar c’è tanta critica sociale e tematiche complesse, portate avanti con un linguaggio ellittico e surreale che sfrutta il paradosso, sostenuto da trovate musicali coerenti di ogni tipo, ma vuol condurre per mano l’ascoltatore – qualunque tipo di ascoltatore: anche quello generalista, impreparato, che potrà sorridere e godere delle cento peripezie, linguistiche e sonore – verso tesi anticapitalistiche inequivocabili, con brio e humour.
‘Vincenzina e il Call Center‘, al riguardo, è emblematica. La musica, un mantra rock arricchito da suoni orientali, sostiene il dramma della scelta, dei no che vanno detti, ad ogni livello, malgrado la difficoltà, la solitudine e l’emarginazione che possono comportare, per aprire nuove possibilità, al vero cambiamento. Un racconto lisergico, con una musica incalzante e trattenuta, dalla solida costruzione zeppeliniana; i protagonisti di ‘Siamo solo Noi‘ e di ‘Ammazza il Corvaccio‘ – il cui impianto orchestrale si sublima in misurate trame digitali – sempre con riguardo al mondo del lavoro moderno, provano invece più decisamente ad affrancarsi dal giogo, squarciando il velo e riuscendo a vedere alla fine la propria condizione di schiavo.
Il sarcasmo di ‘Benvenuti in Paradiso‘ è per il brutto Mondo che stiamo costruendo, in cui saltano ad una ad una le tutele sociali, mentre nell’amara ‘Il Ragazzo della Via Adriano‘, di Alberto Scotti e Nico Sambo, si racconta come la bruttezza delle periferie degradate delle metropoli sia a conti fatti una forma molto concreta di violenza di classe, senza via di fuga in questo momento storico se non il volo della fantasia; qui una tragedia umana, in realtà sociale, si fa largo in una canzone dei Maisie perfettamente sostenuta da un’adeguata atmosfera musicale, che cambia al minuto 2 e 50 sec.
‘Un Programma Politico Sintetico‘, jazzcore a rotta di collo, smaschera l’ipocrita narrazione reazionaria e perbenista per cui la protesta a muso duro è terrorismo, per disinnescarne la spinta rivoluzionaria.
In ‘Dio è Morto‘, brano pop in cui si notano i soliti scicchissimi cori di Claudio Milano ed il ricorso a suoni scratch hip-hop, e poi nei 9 minuti della teatrale, folle ‘Padre Pio Kung Fu Master‘ e nel soul surreale intitolato ‘Gesù‘ emerge il tema dell’uso strumentale che si fa persino di Dio, nel materialismo assoluto della nostra epoca; in ‘Madama Dorè’ invece è sul desolante perbenismo applicato anche alla famiglia da un ceto medio infondo violento, individualista, incattivito dalla mancanza di valori condivisi.
Ed intanto la percezione dell’artista da parte del pubblico si è massificata, nell’epoca moderna. La complicità d’un tempo ha ceduto il passo alla diffidenza, al trollaggio, all’abbrutimento, alla volgarità, mentre la musica ha preso la piega consumistica di cui sopra, anche a causa dei social network; il punto di vista sull’artista s’è fatto disincantato, paritario, dissacrato, malizioso, strumentale… ed ecco che in ‘Maledette Rockstar’, l’idolo rock d’un tempo, ormai in via d’estinzione, preferisce la morte piuttosto che diventare un personaggetto moderno dell’indie, così come in ‘Sono sempre i Migliori quelli che se ne Vanno‘ o in ‘Certe Notti‘ – dai ricchi, strabilianti arrangiamenti à la Burt Bacharach ed una gustosa storia surreale – si canta anche di questo risvolto, e di una più generale perdita dell’innocenza della nostra società.
In coda al primo CD troviamo in successione 4 brani meno decifrabili, dalla struttura dilatata, imprevedibile, mentale e psichedelica. ‘Folkpolitik‘ prende le mosse dall’epoca buia del berlusconismo e dalle figure dei potentissimi lacchè politici di un tempo, ora in buona parte caduti in disgrazia e raccontati infatti così, come figure patetiche, da operetta, in un sadico delirio cinematografico di serie b. In un’altra canzone invece, la vendetta di cui è concretamente autore il volgare ‘Nanetto Pingping‘ in realtà rappresenta quella dello spettatore televisivo ormai saturo, verso la c.d. televisione spazzatura ed i suoi volgari – questi si, davvero – idoli.
Ambiziose sfide concettuali e compositive in ‘Donna Pesce‘ ed ‘Aria’ precedono l’apertura del secondo disco, dove troviamo due brani strabilianti: ‘Ruderi e Macerie‘ e ‘Wilma e il Diavolo‘, nei quali Claudio Milano e Luigi Porto, assieme ad Alberto Scotti, conducono i Maisie in nuovi territori musicali prog sperimentali, diciamo così tra Area e Perigeo.
Cinzia La Fauci, voce dei Maisie, compie anch’ella con quest’album un’evoluzione straordinaria, sia per la tecnica che per la capacità di interpretare alla perfezione l’aspetto umorale, scherzoso ma al contempo affilato delle canzoni dei Maisie. Moltissimi i musicisti presenti nel disco, tra i quali citiamo il produttore Emiliano Rubbi, Carmen D’Onofrio, Bruno Dorella… strabiliante la quantità di strumenti utilizzati.
Quale può essere l’impatto di un disco così nettamente fuori dal coro sulla musica pop italiana contemporanea? Difficile dirlo. Parliamo di un modello che rema contro l’omologazione e che rispetta l’ascoltatore, riportandolo ad un ruolo attivo, responsabilizzandolo. Un progetto che sarebbe molto bello seguire dal vivo, e che speriamo troverà spazio nelle radio.
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autore: Fausto Turi