Registrato a Los Angeles tra il 2013 e il 2014 con il produttore Jonathan Wilson, già collaboratore e produttore di Fair Fun, I Love You Honeybear è un sorprendente caso di concept-album di stile folk e soul. “Parla di un tipo di nome Josh Tillman che passa molto del suo tempo a dare testate al muro, a coltivare rapporti deboli con estranei e generalmente evitando l’intimità a ogni costo. In un parcheggio un giorno incontra Emma, che gli ispira una visione di una vita dove l’essere visto per davvero per come si è non è sinonimo di vergogna, ma addirittura di liberazione e sublime creatività”.
L’autore delle canzoni, e di questa lunga citazione, è Father John Misty. Ma Father John Misty altro non è che l’alter-ego di Josh Tillman, appositamente creato nel 2012 appunto per Fairl Fun, cosicché siamo in realtà di fronte all’undicesimo disco di questo prolificissimo autore, anche batterista dei Fleet Foxes, che qui gioca non poco con la sua multiforme identità. Emma è la vera moglie di Tillman, e dunque il racconto è perfettamente autobiografico, senonché la strategia di inventarsi un alter-ego, tutt’altro che inedita nel folk, serve a rappresentare le sue edificanti vicende d’amore come una storia vista da lontano, sotto il forte marchio dell’autoironia.
Rispetto ai dischi firmati J.T., si individua immediatamente la marca differente che giustifica la pubblicazione sotto diverso nome: mentre Tillman è un autore di indie-folk, o post-folk, minimalista, post-moderno, ipnotico, Father John Misty riempie le sue basi melodiche acustiche di tanti arrangiamenti, che in questo caso sono a volte interventi di orchestra, a volte una band mariachi, a volte batteria elettronica, altre volte combo stile ragtime. C’è anche molto soul in questo disco folk, ma il risultato, rispetto agli esiti di tanti dischi di Tillman, è francamente deludente.
Diciamolo chiaramente: Josh è più bravo quando è solo con la sua chitarra. Se deve arricchire il suo folk con lo stile country americano classico, diventa poco originale, e a tratti noioso, come nella title track, oppure in Ideal Husband, o in True Affection, dove prova l’elettronica, o The Night Josh Tillman Came To Our Apt. o in When You’re Smiling and Astride Me dove invece sperimenta il soul. In questi casi, nonostante la sincerità delle liriche, la sua musica non riesce proprio a mostrare carattere, benché in Ideal Husband si cimenti anche col un tentativo di country-rock.
E infatti i suoi momenti migliori sono quando Father Misty torna davvero Josh Tillman, come in Chateau Lobby #4, o in Nothing Good Ever Happens At the Goddamn Thirsty Crow, o in Bored in the USA o nella splendida, molto molto tillmaniana, Holy Shit.
Solo chitarra, voce, e puro spirito, nello stile dei suoi splendidi vecchi album. Per queste piccole perle, regalate anche in occasione di questo side-project, lo accettiamo anche come alter ego. Basta che Father Misty non si monti troppo la testa e voglia una vita e soprattutto una carriera musicale tutta sua.
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autore: Francesco Postiglione