Chissà perchè in Gran Bretagna un buon disco è destinato a diventare l’album dell’anno. Misteri dell’editoria musicale d’oltremanica, che battezza “next big thing” ogni 14 giorni. Così è stato per “To Lose My Life” dei White Lies, tre teenager in odore di spirito adolescenziale, con piglio rock e mood alla Poe.
“Unfinished Business”, sinth, batteria che incalza: “Lascia quelle forbici, baby”. White Lies, funerali e culto della morte. I nuovo eroi emo? No. L’album è bello, ma emula. Joy Division, Nick Cave, e il sinth-pop risvegliatosi nella prima metà degli anni zero con Editors ed Interpol ed in particolare i Killers. Già ai vertici delle classifiche inglese, dopo i singoli “Death”, “To Lose My Life” e Unfinished Business”. Look total black, tematiche nere e funeree, voce baritonale e sofferta. Come dicono, in tempi di guerra tutto è passabile: quasi d’accordo, ci si esalta per chi riesce a ri-fare meglio sonorità passate e ripescate. “Invecchiamo insieme e moriamo assieme” sussurrano in To Lose My Life, necrovisione della romanticheria dark, mentre in “A Place To Hide” fanno capolino gli Editors, nelle chitarre e nel basso in primo piano. Harry McVeigh (voce solista, chitarra ritmica, tastiere), Charles Cave (basso, cori) e Jack Lawrence-Brown (batteria), attualmente sotto contratto con la Fiction Records, si ispirano anche ad Echo And The Bunnymen (che a loro volta si ispiravano ai Doors) e al synth-pop dei New Order, discendenti diretti dei padri di tutto ciò che riesce a mescolare dolore e musica, i Joy Division. I brani si memorizzano facilmente, sono veramente orecchiabili, in particolare (oltre ai singoli) From The Stars e la duraniana Farewell To The Fairground. Venderanno tanto e fra qualche anno potranno anche riempire gli stadi. Per ora i fan italiani in ben due appuntamenti: il 14 luglio con Franz Ferdinand e Killers all’Ippodromo Capannelle di Roma ed il giorno dopo a Ferrara prima dei Bloc Party.
Autore: Luigi Ferraro