autore: A.Giulio Magliulo
La prima e unica volta che ho visto gli Xiu Xiu dal vivo prima di stasera è stato nel 2002, all’inizio della loro carriera, l’album era Knife Play e nel duo c’era ancora Caralee Mc Elroy.
Ho seguito la creatura di Jamie Stewart a fasi alterne nel corso del tempo poiché gli Xiu Xiu mi han sempre creato dei problemi da ‘pieno emotivo’ per la loro capacità di fondere culture apparentemente opposte in un denso magma sonoro tanto violento quanto deprimente e lirico. Era soprattutto quella componente ‘pop’ che spesso emergeva a sembrarmi una forzatura estetica in quei tempi non sospetti in cui già c’era tanta industrial culture e tonnellate di post-core a saziare certi malsani appetiti.
Ciò nondimeno il loro essere ‘totally art’ mi ha sempre affascinato ed ho quindi subìto tale influenza volutamente da lontano, riservandomi il tempo necessario – certo che sarebbe arrivato – per metabolizzarli e meglio comprenderli.
Questo momento è stato l’ultimo album, Always, pubblicato circa sette/otto mesi fa.
Il motivo per cui sia stato proprio Always l’album della riconciliazione è presto detto: qui avviene la legittimazione di quella componente pop finora sfuggente in una forma nitida, palese, intelleggibile; grazie alla capacità – in alcuni episodi – di farsi seguire addirittura battendo il piedino, è come se si fosse finalmente raggiunta una dimensione fino a quel momento solo anelata ma mai pienamente vissuta. Ed il bello è che in questa sorta di coming-out non si son perse le caratteristiche peculiari del marchio Xiu Xiu: la sua oscura propensione a sguazzare nei meandri più espressionisti, straziati e gotici della new-wave è rimasta intatta, anzi, certi vagiti synth-pop che ora si affacciano più chiaramente hanno anche potenziato certe inclinazioni sonore degli Xiu Xiu, oltre che a dare una adeguata cornice al taglio nazigay di Jamie Stewart.
Le associazioni Röcken ed Emporio Malkovich che stanno facendo un ottimo lavoro in una provincia notevolmente carente di eventi del genere, eccezion fatta per Interzona, mi offrono adesso la possibilità di poter verificare tutto ciò.
Aprono la serata i Three In One Gentleman Suit con un energico ed onesto live set molto ispirato anche se – per quanto mi riguarda – di certe traiettorie post-rock nell’ultimo decennio si è ormai anche troppo ed ampiamente abusato e quindi passo oltre senza particolari rimpianti.
Jamie Stewart e Angela Seo salgono sul palco e come degli automi molto professionali si sistemano dietro la loro strumentazione magnifica ed immaginifica.
Lei è nascosta da una struttura fatta di percussioni, gong, vibrafono e tante altre diavolerie, alcune elettroniche, altre che sembrano mutuate dal mondo del porno (come quello strano bastone flessibile di gomma rosa che rotea senza produrre alcun suono udibile).
Lui è seduto per tutta la durata dello show, alternando chitarra elettrica ad un mini-synth che tiene sulle ginocchia, uno strumento a corda e tasti dall’aria arcaica che farebbe invidia a Xabier Iriondo ad una fionda che utilizza centrando un piccolo gong laterale con dei proiettili fatti di qualcosa che puntualmente si infrange in mille schegge, forse ghiaccio. Ed usa anche le sue guance quando al termine di un brano si prende a schiaffi!
I due si toccano il volto, la fronte, la nuca e le mani in un rituale augurale, Jamie beve a piccoli sorsi da vari bicchieri il cui contenuto sembra però lo stesso e lo spettacolo comincia.
Spettacolo per usare un eufemismo, perché il tutto è molto più simile ad una seduta psicoanalitica inclusi trance, transfer e catarsi.
Perfino i più attenti conoscitori della band alla fine dello show restano interdetti affermando che non hanno eseguito nessun brano dall’ultimo album.
In realtà questo non è vero ma se non fosse stato per alcune parole neanche io avrei riconosciuto Beauty Towne o Hi, completamente stravolte dal loro formato originale.
Mi sembra anche di sentire Sad Pony Guerilla Girl, ma non ci metterei la mano sul fuoco mentre ce le metto ambedue per la cover di I Wont Share You degli Smiths, bellissima e vittoriana.
Quindi non c’è nessun ritmo da battere con nessun piedino eppure il concerto è ipnotico, tanto breve quanto sufficiente, con il nostro che ci rivolge attenzione solo quando ha deciso di finire le sue confessioni alzando una mano in segno di saluto mentre va via, mentre Angela Seo neanche in quel frangente si mostra minimamente interessata al pubblico.
E null’altro da aggiungere, solo che – stando così le cose – mi sentirei di consigliarli un po’ di meno ai fans dei Cure ed un po’ di più a quelli degli Swans.