C’era una volta una giovane giapponesina, Chiyo, figlia di pescatori poverissimi e con gli occhi stranamente rubati al mare.
E’ raro vedere in Giappone degli occhi blu, ma lei li aveva e un giorno le avrebbero portato fortuna.
E quando sarà venduta insieme alla sorella e portata con la forza in un “okiya” (casa delle geishe), saranno quegli occhi a darle un barlume di speranza.
Geisha in giapponese significa “artista”: è una donna a cui viene fatta sacrificare (un tempo erano le famiglie povere a vendere le proprie figlie alle okiya per assicurargli un istruzione e un piatto sul tavolo: insomma come da noi le suore) la propria vita personale. Non possono amare, se non il proprio “danma” in nome dell’arte.
Le geisha sono l’arte: arte della conversazione, del ballo, della seduzione, del canto, della musica.
Sono un idealtipo: la donna del Desiderio – anche per questo molte ragazze in Giappone, oggi, scelgono di diventare geisha.
Chiyo sarà più che altro la donna della discordia, al centro delle trame di due geisha rivali — Hatsumomo e Mameha — interpretate dalla cinese Gong Li e dalla malese Michelle Yeoh. Le due si serviranno della ragazzina per attaccarsi reciprocamente. Ma alla fine, come una Cenerentola (stavolta però) orientale, vincerà colei che non si lascerà abbrutire dall’invidia e dalla cattiveria. Il solito prodotto per donnine americane, con forti venature esotiche e un certo gusto retrò.
Al di là di tutto, “Memorie di una geisha” è un bel film, questo però non vuol dire che sia anche un buon film. Nella solita diatriba tra “è meglio il libro o il riadattamento cinematografico”, punto cento anzi mille volte sul libro. Di più, consiglio proprio di comprarlo (Memorie di una geisha di Arthur Golden, Tea edizioni. Costa poco, circa 7 euro).
Sono le memorie romanzate e raccolte da un giornalista americano, sulla vita di Iwasaki Mineko, una donna che ha lavorato come geisha dal ’65 all’ ’80. Tra le trame del libro (di cui Spielberg si è subito innamorato, comprandone i diritti) si liberano sensazioni che il film non riesce a dare, perché non è credibile. E poi, non ci sta neanche una giapponese!
Zhang Ziyi è carinissima, sarà pure brava, ma non convince: ha una fierezza che non leggi nelle donne giapponesi, molto più sommesse.
Per il resto che dire? Marshall regista-coreografo premiato con l’Oscar per “Chicago”, ci sa fare: scene da togliere il fiato per l’incanto. L’impianto narrativo segue sostanzialmente quello di Golden. Che ha ambientato la storia di Chiyo, diventata poi Sayuri (le ragazze cambiano nome quando diventano geisha proprio come le suore), nell’arco di vita che va dal ’29 al dopoguerra. E’ uno spaccato — minimo e parziale — della vita giapponese, inseguendo gli anni della seconda guerra mondiale e quelli dell’occupazione americana, con il conseguente sovvertimento dei costumi.
In questi giorni il film è al centro dell’attenzione non per scopi promozionali, ma perché fa parte del pacchetto di film che la Eagles Pictures ha venduto alla H3M (la società di telefonia con la “Valeriona” nostrana e il figlio scemo del compianto Ferruccio) in un’operazione commerciale strepitosa che consente di vedere a soli 9 giorni dall’uscita delle sale e al costo di 9 euro il film in streaming sul tuo telefonino. L’associazione degli esercenti cinematografici è in rivolta e minaccia di ritirare il film. Stesso copione già visto con “The Interpreter”, con la Kidman, anche se in quel caso il tribunale di Milano ha dato torto agli esercenti delle sale, sostenendo la 3. Insomma c’è aria di tempesta in giro e conviene correre in sala almeno che non si è proprio tanto stupidi e masochisti (o sadici, dipende) da preferire alla poltrona e il megaschermo del cinema, lo screen microscopico del proprio telefonino.
Autore: Michela Aprea