Oddio, ariecco Bob Villani che ce la mena con l’Elephant 6 collective…
Un’ossessione? Può anche darsi. Ma è anche vero che da Robert Schneider in giù si è sviluppato qualcosa che corrisponde effettivamente a un genere musicale, a un modo di intendere il pop, che ha bisogno di attingere da una “beatitudine” psichedelica ovattata e “bambinesca” – rotonda, per usare immagini – per prendere il più possibile le distanze dagli “spigoli” del rock, ciò che vale anche quando una chitarra sembra picchiare con fior di riff, e ti accorgi, al contatto con essi, che l’acciaio è gomma, che rimbalza senza dolere. Parlare dell’Elephant 6 è come parlare del punk, del post-rock, dell’elettronica: quando non c’è dobbiamo rilevarne la presenza, senza possibilità di sinonimi che sostituiscano quello che è ormai un termine “primo”.
Lo so, non è molto “elegante” andarsene per immagini, né è detto che tutti coloro che si cerca di ricomprendere in tale inquadratura rientrino nel ritratto che risulta, ma d’altra parte – la solita scappatoia… – molti dei gruppi implicitamente richiamati amano configurare i propri lavori come dei bozzetti, come un prolungamento del proprio immaginario strettamente visivo.
Prendiamo gli Homescience. Forse di quel collettivo non hanno neanche la “tessera ufficiale” scozzesi quali sono (ma al Fence collective cosa direste, che il pop psichedelico non è roba loro?), eppure non c’è molto altro in “Jungling” che riesca a dirottarci in altra direzione estetica (come l’etichetta, di recente sorta di “concessionaria”, insieme a Cloud e Western Vinyl, di quel sound). Forse la voce di Andrew Ward, quasi eccessivamente sintonizzata sulle fragili e falsettate timbriche di un Jonathan Donahue. Ah già, i Mercury Rev, una delle tante creature “figliastre” di Brian Wilson.
E siamo di nuovo lì, quindi, in quello “spiazzo creativo” dove i primi in cui ci si imbatte sono i Quasi di “Featuring Birds”, e poi a mano a mano i Flaming Lips, i Grandaddy. Grande sfoggio di dettagli sonori, piccole orchestrazioni, “toy instruments”. Melodie a go-go, come fosse la cosa più semplice e naturale del mondo, impossibile da sbagliare (ciò che non è – chiedere ai compagni di scuderia Loves e Dressy Bessy). E quei “maledetti” 3 minuti, secondo più secondo meno, che è quanto basta perché la pop song perfetta si consumi…
Autore: Bob Villani