Non ero mai stato al Pistoia Blues Festival : quest’anno, in virtù del forte richiamo esercitato da
alcuni grossi nomi nonché vecchi leoni presenti in programma mi son fatto coraggio,
anche sotto la grande spinta emotiva ( non ne faccio mistero) del mio amico Francesco, già svezzato in tal senso, che se ne è uscito con la fatidica frase: almeno una volta nella vita ti devi fare questa kermesse musicale ormai storica. Ed una faticosa kermesse di tre giorni si è rivelata la XXVI edizione del Pistoia Blues Festival, non solo blues, anzi….; a questo proposito non per sterile voglia di polemica ma solo di chiarezza vorrei in apertura riportarvi uno stralcio tratto da Blues Nation, una fanzine reperita su uno dei numerosi banchetti presenti in Piazza Duomo .
‘‘…Pistoia Blues, va detto per onore di cronaca, non è nota per la sua coerenza. E’ un festival su cui questo giornale spara veleno da quando è nato. Nel 2002 abbiamo iniziato a parlare di quanto poco fosse blues, di quanti artisti fuori tema vi venissero presentati solo per far soldi. Quest’anno invece faccio i complimenti ad un programma assolutamente imperdibile in perfetta linea con la Blues culture….Le uniche due concessioni fuori Blues sono Chuck Berry e Jerry Lee Lewis… non al Rock ma al Rock’n’Roll , due artisti di grande valore e molto contaminati dal Blues ..’ e via discorrendo .
Non so se questo giornalista scrivendo queste cose abbia voluto farsi perdonare alcune passate diatribe con gli organizzatori, ma a me è sembrato che il programma del festival non fosse per nulla in perfetta linea con la Blues culture, e lo dico proprio perché non sono un purista !
La performances non certamente ( o non ortodossamente ) blues-oriented nell’arco delle tre serate di Jefferson Starship, Eric Burdon, Willy De Ville, Country Joe Mc Donald, Davide Van De Sfroos hanno al contrario decisamente distolto l’attenzione da un’estetica meramente blues, assicurando una fruizione di proposte assolutamente varia e godibile.
1) IL ROCK’N’ROLL : a fare da spartiacque, potenziali piatti forti del festival, i mini-show di CHUCK BERRY e JERRY LEE LEWIS che non si sono rivelati in realtà nulla di trascendentale : il loro status di icone leggendarie ha fatto sì che soprattutto i presenti più giovani ed esagitati accettassero ( o non se ne accorgessero!) il chiarissimo precario stato fisico in cui versava l’anziano CHUCK BERRY ( a quanto pare molto affaticato dal viaggio, accompagnato da una formazione decisamente familiare : suo figlio all’altra chitarra e sua figlia all’armonica e voce), le sue numerose stonature chitarristiche ed il cantare ( che dico ? parlare…) ormai dato in appalto più al pubblico che alle sue corde vocali. Sono comunque sfilate alla bell’e meglio gigioneggiando come solo lui sa fare e sfoderando comunque ogni tanto i suoi magistrali ‘riffs-zampate’ Sweet Little Sixteen, Roll Over Beethoven, You Never Can Tell….sino a quando Berry ha pensato che invitare sul palco un gruppetto di infoiate giovani ‘ballerine’ fosse una ghiotta occasione per ‘riposarsi’ ai bordi del palco ( che figlio di…. !!!) .
Si può perdonare tutto questo a chi il rock’n’roll l’ha inventato ? Direi di sì …..devo a Berry dopotutto se sono qui a scrivere .
Decisamente meno caotica e più ‘mirata’ musicalmente l’esibizione di JERRY LEE LEWIS, preceduta da numerosi brani della sua band ( tutti signorotti attempatissimi, ingessatissimi e con tanto di parrucchino ) molto country-oriented : in realtà Jerry, maglietta da fornaio ed freddo come sempre, ha eseguito con scontata professionalità pochissimi suoi classici r’n’roll come Whole lotta shakin’ goin’ on e Great Balls of fire alternandoli con languide ballate country pianistiche. Al contrario molto caos e spintoni sotto il palco, intenzionalmente creati da un gruppo di giovani rockabilly (rebels?) per i quali J.L.Lewis evidentemente rappresenta un’icona molto più esaltante di un Chuck Berry .
2) IL BLUES: anche in tal caso privilegio i più anziani e padri storici, coloro che hanno forgiato uno stile, al pari di Berry e J.L.Lewis ; B.B. KING ha sfoggiato quello che ormai è un suo show-standard da tantissimi anni , a metà strada tra un collaudato entertainment dialogato con il pubblico e l’esecuzione sofferta e sempre incisiva di pietre miliari, prima tra tutte l’emotiva The Thrill Is Gone. Particolarmente vibrante a Pistoia il 9 Luglio la versione di When Love Comes to Town, vigoroso brano scritto per B.B.King da Bono ed interpretato con lui in Rattle and Hum (1988 ) .
Molto calda anche la performance di JAMES COTTON, uno dei protagonisti storici del chicago-blues, collaboratore tra l’altro di Muddy Waters negli anni ’50, nonostante seri problemi alla gola non gli hanno consentito di cantare : pur da seduto ed accompagnato da una band che girava a mille, ha davvero esaltato l’audience con gli intensi ed asciutti soli della sua blues-harp .
Diverso il discorso per le bands ed i bluesman più giovani e della generazione di mezzo ascoltati a Pistoia : il loro approccio al blues, pur talvolta originale e personale, soprattutto dal vivo rivela influenze pesanti a tal punto da farne quasi dei cloni di alcuni seminali capiscuola rock-blues appartenenti ormai alla leggenda, Hendrix e Johnny Winter in primis.
POPPA CHUBBY ad esempio, un abitué del festival : chitarrista-vocalist grintosissimo e generosissimo ha scatenato l’8 Luglio l’entusiasmo dei presenti con un set tirato, brani marchiati da riffs assassini, non ultima una versione al fulmicotone dell’hendrixiana Hey Joe ; nel suo fraseggio concitato e violento rivivono e convivono la creatività fluente del miglior Hendrix e la concitazione parossistica del Winter più giovane .
Stesso discorso per l’acclamatissimo ERIC SARDINAS : per lui l’attesa a Pistoia era spasmodica, palpabile. Il suo è stato uno show estremamente spettacolare e funambolico caratterizzato da un trattamento lapalissianamente ‘metal’ del blues : non ha certo deluso le aspettative del pubblico di primo pelo facilmente suggestionabile, ma basta essere un po’ smaliziati e con qualche anno in più per cogliere nel suo approccio ‘live’ e nel suo linguaggio chitarristico una premeditazione/freddezza invadenti e scontate rispetto un Poppa Chubby ad esempio.
Come decisamente scontata è stata la ‘bravata’ di Sardinas alla fine dello show della sua chitarra distrutta ed incendiata sul palco : un dejà vu che definire banale è un eufemismo…non vi ricorda nulla ?
Molto gustose ed essenziali al contrario le performances di ROBERT CRAY e LONNIE BROOKS.
Devo essere onesto : Cray in studio non mi ha mai particolarmente esaltato, né ‘preso’, anzi il suo approccio contaminato al blues mi è sempre parso sin troppo easy e radio-friendly; invece a Pistoia, contrariamente alle mie previsioni, ha dato prova di una vena soul-blues estremamente vibrante e coinvolgente : una band collaudatissima, impasti chitarra-tastiere suggestivi e brani armonicamente ricchissimi. LONNIE BROOKS ha deliziato e divertito con il suo onestissimo impasto blues farcito di riferimenti bayou e zydeco, tenendo il palco con grande humour e vitalità, in virtù di comprimari validissimi .
Spostandoci in un territorio più rock, più che decente è stata l’esibizione dei sudisti americani TISHAMINGO che hanno proposto in chiave nostalgica la formula molto seventies della doppia chitarra solista e di melodie suadenti e solari .
Ancora più intrisa di rimembranze southern l’esibizione degli W.I.N.D. : brani densi, psichedelici ma anche jazzati nella più pura tradizione Allman Brothers Band . Erano inoltre corroborati dalla presenza del notevole tastierista-vocalist Johnny Neel, ex collaboratore degli Allman Brothers ed attualmente inserito nel giro jam di New York e dei Gov’t Mule di Warren Haynes.
Ci hanno davvero strabiliato con lunghe, sofferte interpretazioni con le tastiere di Neel e la sua voce disperata in primissimo piano : una per tutte, la superlativa cover della storica Whipping Post di Duane Allman e c.
3) GLI OUTSIDERS : WILLY DE VILLE, una leggenda vivente, il junkie gitano del CBGB’s sopravissuto alle mille insidie della grande mela, lo attendevamo con ansia particolare, dopo anni di tacita venerazione ! Il suo show dell’8 luglio, serata iniziale, è stato come prevedibile un mix affascinante di rock, blues, country e musica messicana : eccolo, dinoccolato e glaciale nel portamento e negli abiti zingareschi, sedersi imbracciando chitarra e sistemandosi l’armonica, rivolgendo subito ai soliti inopportuni esagitati sotto il palco un laconico ‘ Be quiet…!!! ‘.
Ad assisterlo il fedele poliedrico chitarrista Fred Koella, ed una band con tanto di mandolino e fisarmonica. Dall’ultimo lavoro in studio del 2004, Crow Jane Alley, ha eseguito, tagliente come un coltello a serramanico, il viscido blues Muddy Waters rose out of the Mississippi mud producendosi in un insidioso solo slide, e le sapide ballate tex-mex Come a little bit closer e Downside of town; ma generosamente poi si è infilato nelle sabbie mobili del passato trafiggendoci l’anima con le micidiali stoccate di Steady Drivin’ Man, Savoir Faire, rock suburbani newyorkesi fradici di blues, Cadillac Walk, Mixed Up, Shook Up Girl, Spanish Stroll, risalenti addirittura ai primi due album Cabretta / Return To Magenta, songs meticciate di latin-sound trasudanti romanticismo decadente; sino alla seducente ed ambiguamente festosa cover di Hey Joe, la murder-song per eccellenza.
ERIC BURDON : mentre si esibiva sorseggiando un bicchiere di vino o facendo uso di percussioni mi sono chiesto come faccia ad avere una voce ancora così potente ed aggressiva ; come al solito i New Animals con cui si è esibito a Pistoia il 10/7 si sono rivelati un’ottima band, con un chitarrista grintoso ed un tastierista superlativo. Con essi Burdon ha rivisitato alla grande rivestendoli in alcuni casi di arrangiamenti inediti all-time hits come We’ve gotta get out of this place, House of rising sun, Don’t let me be misunderstood, Boom boom. Nel 2004 Burdon ha pubblicato un nuovo album, My Secret Life ed a Pistoia mi è parso davvero in gran forma.
COUNTRY JOE MC DONALD – JEFFERSON STARSHIP ( Jefferson Galactic Reunion )
Avrebbero dovuto esibirsi di seguito questi eroi della controkultura americana a cavallo tra i ’60 ed i ’70 per ovvi motivi; in realtà la sequenza degli artisti del 10/7 è risultata del tutto sconvolta per imprevisti riguardanti Jefferson Starship.
Country Joe McDonald, ormai un ometto timido e dimesso ( scordatevi del tutto la chioma fluente e lo sguardo beffardo di Woodstock ), si è esibito in perfetta e magnifica solitudine con la sua chitarra prima di Lonnie Brooks . Ma quanto rilucente carisma ha dimostrato ancora di possedere la sua voce sottile ma perentoria in quelle 5-6 folk/protest-songs eseguite a Pistoia, una delle quali una pesante bordata a Bush ed alla guerra in Iraq. Una chiara e coerente presa di posizione ( e come poteva essere altrimenti ? ) da parte di uno che nel 1969 aveva scritto un arrogante ed iper-ironico pamphlet contro l’amministrazione americana e la guerra in Vietnam come I Feel Like I’m Fixin’ To Die Rag .
Stranamente l’artista aveva glissato quando, durante un incontro/intervista preliminare
aperto al pubblico nel Teatro Bolognini ( attiguo a Piazza Duomo: c’era anche una bellissima mostra fotografica di Patti Smith) gli avevo chiesto quanto considerasse ancora attuale il testo
di quel brano alla luce della politica internazionale dell’amministrazione Bush ; mi aveva risposto:
‘…molte volte hanno cercato invano di resuscitare quel brano riportandolo a quanto sta accadendo
oggi in America ma non è possibile. La guerra in Vietnam è stata deprecabile, quella in Iraq lo é
altrettanto, ma la guerra più terribile che oggi è in atto è il terrorismo ! ‘ . Una risposta che mi aveva lasciato piuttosto perplesso . Alla fine però abbiamo socializzato e scattato una foto insieme .
Jefferson Starship hanno chiuso praticamente la serata finale del festival davvero in modo grandioso dimostrando quanto ancora siano vibranti oggi quegli inni pacifisti e quella psichedelia dilatata ed epica che resero i Jefferson Airplane i portabandiera a stelle e strisce tra i ’60 ed i ’70 di un movimento controculturale irripetibile . Paul Kantner non mi è parso ‘menarsela’ più di tanto : ha solo saggiamente coordinato da ‘grande’ veterano i differenti momenti dello show, guidando con gli epici riffs della sua ritmica le performances vocali di Diana Mangano ( che chiaramente non è Grace Slick ma si è dimostrata decisamente all’altezza della situazione ) e gli esaltanti, prolungati solismi della chitarra di Slick Aguilar. Una grossa mano l’ha data ai vocals e backing-vocals David Freiberg e Tom Costanten alle tastiere insieme a Chris Smith . Fragorose interpretazioni di Somebody to love, White Rabbit, Crown Of Creation, Wooden Ship e di altri brani indimenticabili dei Jefferson .
Non posso concludere tralasciando la performance di DAVIDE VAN DE SFROOS :
anche se onestamente da meridionale non oso inoltrarmi in quel ginepraio linguistico che costituisce l’universo espressivo dell’artista monzese cresciuto sul lago di Como,oggettivamente ed al di là degli steccati linguistici il suo mini-show a metà strada tra folk, cantautorato e country, corroborato da timbriche varie quali armonica, fisarmonica e violino è risultato davvero gustoso e coinvolgente.
Per quest’anno è tutto : il prossimo….chissà !!!!
Autore: Pasquale Boffoli _ foto di Francesco Tunzi
www.pistoiablues.com