Il giorno dopo il concerto dei Wavves, all’Hana-Bi di Ravenna, il popolo di Facebook era in fermento. Le fazioni? Quelle del chi c’è c’è, chi non c’è si lamenti. Davvero scomodi da sopportare, infatti, i commenti entusiastici del giorno dopo, per chi questa data se l’è persa: in primo luogo perché, senza troppi giri di parole, è stata veramente una figata. Ora, lo so bene che ‘figata’ non è un termine tecnico da recensione, ma sicuramente il più universale e comunicativo per descrivere quello che la band californiana ha combinato su una spiaggia che fino a poche ore prima era fatta di sabbia, sole e secchielli, come tutte le altre. E se la vogliamo dire proprio tutta, i Wavves non sono assolutamente una band da recensire con distacco ed oggettività formale: fanno un casino pazzesco (leggi: low-fi noise) e si divertono come i pazzi (leggi: surf punk from East Coast), impossibile quindi mantenere lo spirito professionale da report durante uno dei loro show.
“Questa è la mia prima volta in Italia” dice Nathan Williams, mentre accorda la chitarra e getta di tanto in tanto uno sguardo sulla folla che si accalca all’ingresso dello stabilimento, dove è stato allestito uno spazio ‘recintato’ all’interno della quale la band è tenuta in gabbia. Non si capisce veramente quanta gente c’è (tantissima! da tutta Italia!), ma a detta di Billy Hayes, il batterista dalla faccia di Jack Black e il cuore punk Hardcore, sicuramente ci sono troppe belle ragazze.
La band attacca subito con Friends were gone, per bruciare immediatamente dopo King of the beach, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’ultimo album, omonimo. Per quanto Nathan Williams faccia la sua bella parte come frontman, con il suo stile californiano impeccabile, la solita camicia a quadri dai colori scintillanti (come un grunge, però felice) i capelli neri costantemente sugli occhi, mentre con la testa violentemente scandisce il ritmo della batteria, il vero protagonista dello show è il bassista Stephen Pope, che con i suoi cento e passa chili di massa grassa, capelli e calli sui polpastrelli, non riesce a stare al suo posto neanche un quarto di canzone. Quando sbaglia l’attacco di un pezzo, nel mezzo della scaletta, Billy e Nat lo bacchettano e gli infliggono una punizione: deve sedersi. Qualcuno tra il pubblico lo segue, ma per poco: anche Stephen resta poco a gambe incrociate e basso in verticale, perché dopo pochi secondi riprende a suonare rotolandosi a terra avanti e indietro, per terminare sfinito, pancia all’aria, senza mai smettere di suonare.
Nella scaletta si alternano pezzi nuovi (Post Acid, Green Eyes) e pezzi tratti dagli album precedenti (Wavves, So bored), quelli in cui il sodalizio tra Williams e i suoi due esuberanti colleghi (ex Jay Reatard, fino alla morte del frontman Jimmy Lindsey) non era ancora stato stipulato.
Non è successo niente, all’Hana-bi, che potesse riportare alle scene alcoliste poco anonime e troppo violente del Primavera Sound 2009, in cui Nathan si rifiutò di suonare e intraprese una furiosa rissa con il suo batterista. La data italiana è stata genuina e chiassosa come una lite a muffin in faccia, tuttalpiù.
Prima dell’ultima canzone, in chiusura del concerto, Nathan ha invitato tutti a correre verso la spiaggia, per assistere alla nascita tra le onde di un nuovo mostro marino, un wavve-boy con la pelle di rettile che avrebbe conquistato il mondo, nutrendosi del sangue dei bambini.
Il concerto finisce e parte il dj set dell’Hana-bi. Un secondo neanche e i Wavves sono già nel camerino, mentre la gente intorno non sa spiegarsi realmente cosa sia successo in quell’oretta rumorosa della loro vita. Un’esperienza breve e intensa, come essere calpestati dalla pinna gigante di un mostro marino con troppi tatuaggi. Summer is forever, ragazzi.
“Un appunto particolare” (nuova rubrica inventata da me sul momento):
L’Hana-bi si sta dimostrando una delle realtà più interessanti dell’estate 2010, per l’allestimento di un cartellone di tutto rispetto (accanto a Wavves, presto Badly Drawn Boy e Pains of Being Pure at heart, per dirne solo due), la simpatia del personale (troppo rock!) e la location che ti fa stare in California senza postumi da jet-lag!
Autore: Olga Campofreda
wavves.net