Essendo diventato, almeno in anni recenti, un autore decisamente prolifico (tra lavori in proprio e collaborazioni assortite, la sua discografia sta diventando sempre più corposa) il buon Mark Lanegan, attualmente, si è lanciato in una doppia iniziativa.
Da un lato l’autobiografia Sing Backwards and Weep (attendiamo fiduciosi la traduzione in italiano che non dovrebbe tardare ad arrivare) e dall’altro il compendio musicale, ossia il nuovo album Straight Songs Of Sorrow.
Entrambe le opere nascono dalla voglia dell’artista statunitense di raccontare i periodi bui, dal punto di vista personale, legati principalmente, ma non solo, all’uso di sostanze stupefacenti ed altre cattive abitudini.
Un viaggio a ritroso nel dolore che, a volte, la vita riserva. Nel caso di Lanegan c’è, però, una fedele compagna che ha, in parte, lenito la sofferenza del suo cammino: la musica.
Nel caso specifico una sorta di blues che concettualmente allevia i tormenti dell’anima attraverso la condivisione con le altre sensibilità affini, sorta di espiazione cantata delle umane debolezze.
Certo non una versione canonica della musica del diavolo, piuttosto una moderna incarnazione al passo coi tempi, impreziosita da un timbro baritonale inconfondibile.
Sperando di aver reso giustizia, nel breve spazio di qualche frase, ad una carriera in solitaria ormai più che trentennale, è giunto il momento di entrare nel merito di Straight Songs Of Sorrow.
Sulla scia degli ultimi lavori in studio l’impronta del disco è un misto di suoni organici ed ambientazioni elettroniche. Alla prima categoria appartengono di sicuro la dolce ballata acustica Apples From A Tree, l’amara contemplazione sulla dipendenza di Stockholm City Blues, la meditativa Daylight In The Nocturnal House,l’incipit alla Nick Cave di At Zero Below (sarà la presenza del violino di Warren Ellis dei suoi Bad Seeds?) e la conclusiva ed orchestrale Eden Lost And Found, vero inno alla speranza di redenzione dopo tanto penare.
Altrove il sound vira deciso verso il sintetico, tipo nell’iniziale I Wouldn’t Want To Say o nella ballata a due voci This Game Of Love (l’altra è quella della moglie Shelley Brien, co-autrice di un paio di brani sul disco e, a quanto pare, la coppia è al lavoro su di un intero album) così come in Internal Hourglass Discussion, misto di reminescenze alla Joy Division (manco a farlo apposta, uno degli ospiti di Straight Songs Of Sorrow è il bassista Jack Bates, figlio Peter Hook) e della recente collaborazione di Lanegan con Not Waving (aka il nostrano Alessio Natalizia) che ha partorito il long-playing Downwelling (2019).
Diciamo che gli episodi sopra citati sembrano essere i meglio riusciti di una tracklist piuttosto ben congeniata e con poche cadute di tono. Il fatto di aver tratto ispirazione dal proprio vissuto, per quanto difficile, ha consentito a Lanegan di sentirsi oltremodo coinvolto dall’intero progetto, evitando di adagiarsi sugli allori, complice pure la presenza di numerosi ospiti (tra gli altri citiamo Ed Harcourt, Jack Irons, Greg Dulli, John Paul Jones nonché il fido produttore e polistrumentista Alain Johannes) scelti attentamente.
D’ora in poi la sfida del nostro sarà quella di sapersi rimettere in gioco senza snaturarsi, dato che grazie a Straight Songs Of Sorrow il songwriter statunitense sembra aver sistemato i conti col suo turbolento passato nel miglior modo possibile.
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autore: LucaMauro Assante