di Yojiro Takita, con Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue
La morte ti fa bella. Ma solo grazie ai tanatoesteti. Forse non avete idea di cosa faccia il tanatoesteta. E’ un professionista che, in Giappone, però chissà forse anche da noi, prepara i cadaveri: li deterge, li “lustra”, li veste, li trucca. Gote, rossetto, ciglia, capelli. E poi sistema le mani, giunte, con gesto plastico da fisioterapista. Ci si incanta a vedere i tanatoesteti giapponesi all’opera. Anche i parenti del morto o della morta restano sospesi. Sono tristi, confusi, affranti, però non staccano gli occhi dalla metamorfosi. Da baco a farfalla pronta a librarsi per il Viaggio, l’ultimo. Le departures, partenze.
Non provate a chiedervi come sia venuto in mente a Yojiro Takita di ambientare una storia su questi necro-cosmeti. La risposta è già nella cultura del Sol Levante che riveste di onorabilità e decoro ogni aspetto del vivere quotidiano e così il suo contrario: il morire quotidiano. In più, furbamente, Takita ci spalma su una graziosa storia d’amore, una convincente vicenda personale e un piglio registico che non si compiace della pietà ma prova a dominarla attraverso la tecnica amanuense. Modella gli istanti e accarezza le lacrime. La maestria dei tanatoesteti ghiaccia i singhiozzi e la disperazione. Per lunghi minuti. Il sottofondo sa di stringhe di violoncello. Premio Oscar 2009, e non fa una grinza.
Autore: Alessandro Chetta