Anche con “Io loro e Lara” Verdone delude (anche se è boom al botteghino). L’andazzo va avanti da ormai dieci anni…
Voglio un bene dell’anima a Carlo Verdone. Non ci credete? Vi cito un paio di battute a impronta, su due piedi, e neanche dai film più famosi. “…Ma come avvocà (rivolto a Sordi), la milza è n’organo superfluo? Ma che er padreterno se metteva affà gli organi superflui. Era da ricoverallo, era…”. Ancora: “…Ma come se fa a sta’ (parlando con la Muti) con uno che un giorno c’ha i capelli verdi, un altro cell’ha arancioni. Ma come c’usciva sto figlio? De martedì grasso ce usciva”.
“Compagni di scuola” è un bel film “serio”, riflessivo, visto che è stato speso anche questo aggettivo per definire “Io loro e Lara”, ultimo lavoro del regista romano. “Stasera a casa di Alice” è un bel film. Lo è anche “Perdiamoci di vista” con la Laura Chiatti di allora, Asia Argento. “Sono pazzo di Iris Blond” è un bel film. “Io e mia sorella” è un bel film. “Al lupo al lupo” è un bel film. “Io loro e Lara” non lo è. Perché affastella troppe idee, si affida a generici senza sugo, rivernicia stereotipi: il prete in crisi (ullalà), i giovani che si drogano in discoteca (porcomondo), la ventenne precaria (oggi non ce n’è uno che non sia precario) che per tirare la carretta fa la webcam girl (il Marrazzo-gate è anni luce avanti).
Verdone non infila una battuta che sia una. Si ride? Eccome. Ma non per situazioni o trovate brillanti. E’ lo “strappo” comico che estorce un sorriso, ma così, per inerzia, come può esserlo una faccia smorfiosa o un tono di voce alterato. Non si gusta quasi mai divertissment di sostanza e spesso la battuta è didascalia (in sala si rideva, per dirne una, quando il fratello cocainomane tira su con la narice. Tutto qua). Anche le scene si riciclano in carta carbone, come in alcuni cartoon Disney. La sfuriata contro la psicologa (Finocchiaro) ricorda da vicinissimo quella contro la psicolabile Camilla-Buy di “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”. L’arrivo inatteso in un momento topico di “allegre” donne di colore poi chiuse a chiave in bagno fa il paio con la scena dell’amichetta africana che si fionda in casa di Manuel Fantoni in “Borotalco” (1983).
Fortunatamente siamo lontani dall’abisso del “Mio miglior nemico”, la più grande toppata del nostro. Ma la risacca cominciata con C’era un cinese in coma (1998), ancora non cessa. Tutto questo tempo in standby, senza smalto: fateci caso, non ricordate neanche un film degli ultimi dieci anni. E se lo ricordate fate una faccia un po’ così (“Ma che colpa abbiamo noi”, “Grande grosso e Verdone”, “L’amore è eterno finchè dura”, ecc., ecc.). Un vuoto confermato da quest’ultimo, pur generoso, tentativo, tra l’altro dai grandissimi numeri al botteghino. Ma una cosa sono gli incassi – euforizzanti, ma li fa anche Pieraccioni – un’altra è un discorso franco sulla qualità dell’opera. La vena, non solo comica, ahimè, s’è implacabilmente isterilita. Ricorda per certi versi il brancolare degli ultimi 5 anni di Salvatores. E credo che Verdone, in fondo, lo sappia. Ah, quanto ci/gli manca il sostegno in sceneggiatura di angeli come Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Oldoini. Ma tenaci e fiduciosi, noialtri per-sempre-riconoscenti fan, lo aspetteremo ancora. Anche perchè senza di lui al cinema, in Italia, nun se ride più (Ficarra e Picone? Naaaaaa. Checco Zalone? Bravo in tv. Salemme? Buonanotte. De Sica? Sotto le parolacce il nulla. Luciana Littizzetto? Al cinema è incolore. Aldo Giovani e Giacomo? Ma per favore).
Autore: Alessandro Chetta