Son passati diciotto anni dal loro primo, epocale, lavoro. Ricordo che si gridò quasi al miracolo. Anche in Italia si poteva, si riusciva a fare musica di respiro internazionale, con un’etichetta piccola e combattiva, la Homesleep (senza contari i primi Ep editi da Gamma Pop, Fiction.Friction, Zum).
I Giardini di Mirò licenziarono il loro primo full lenght “Rise and Fall of Academic Drifting” dando vita ad un excursus che, nel tempo si è sviluppato in lungo ed in largo, mai cedendo alle sirene del già sentito.
Cinque anni fa, il loro ultimo disco, “Rapsodia satantica”, che va a ricollegarsi ad un precedente esperimento: sonorizzare ex novo, pellicole di film muti.
Scomparsa, purtroppo la Homesleep, ci hanno pensato le label 2nd Rec, Unhip e Santeria/Audioglobe a supportare il gruppo emiliano che, pochi giorni fa è tornato sul mercato con “Different times” per la 42 Records.
I primi 97 secondi dell’album, catturano immediatamente l’ascoltatore. E’ musica che andrebbe bene come colonna sonora di una qualsiasi immagine, un qualsiasi accadimento reale o onirico. Atmosfere che come da prassi richiamano i Mogwai e quando entra in scena la chitarra si flirta con i migliori pezzi degli Yo La Tengo.
Poi la magia iniziale sparisce, improvvisa, per lasciare spazio ad una batteria, insolitamente per la band, un po’ troppo invasiva.
Ma gli 8 minuti e passa della title track si connettono subito con i sensi di chi ascolta, facendolo entrare nel mondo immaginifico di questa storica band dell’indie italiano.
E già, l’indie italiano, ramificato in mille rivoli e divenuto, negli anni, un fiume carsico. Molti gli ospiti nel disco che lo rendono unico e internazionale: Adele Nigro meglio conosciuta con il moniker di Any Other cantata magnificamente “Don’t lie”, sussurrata e soffiata su un tappeto melodico molto accattivante.
Il terzo brano, “Hold on”, con la partecipazione del grande cantautore americano – ex God Machine e anima dei Sophia – Robin Proper-Sheppard, sotto certi aspetti ricalca la dinamica della title-track, con una splendida overture strumentale che successivamente cambia registro.
Dopo la sognante “Pity the nation” è la volta del terzo ospite dell’album. Glenn Johnson è vivo e lotta insieme a noi. La sua voce fa da corredo al pezzo più breve dell’album e si va con la mente a ritroso, ai Piano Magic, ad un secolo che stava per finire ed un altro che andava a iniziare con la loro stupenda musica.
Le canzoni a seguire vedono “Void sleep” come la meno riuscita del disco, un brano troppo monotono e ripetitivo che non aggiunge nulla di nuovo a ciò che si è ascoltato fino ad ora.
Tra le tracce seguenti è da notare la notevole “Under”, che non è il miglior episodio dell’album, ma sicuramente quello più mainstream che non sfigurerebbe in una normale programmazione radiofonica, considerando ciò che passa per l’etere nazionale.
L’album si chiude con la chilometrica “Fieldnotes” che vede la partecipazione di Daniel O’Sullivan (già Guapo, Ulver, Sunn O))), Æthenor) con un brano sotto forma di un lungo viaggio che va a concludersi con una coda disturbante e bellissima.
Da quasi venti anni sulla scena confemano la loro voglia e attitudine a sperimentare tenendo il passo con i tempi.
Ed anche nelle canzoni meno riuscite hanno un livello qualitativo sempre alto. Non siamo, certamente, ai loro apici, ma ben vengano i Giardini di Mirò in un panorama italiano sempre più asfittico e provinciale.
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autore: Giuseppe Piscino