Daniel voleva essere i Beatles. Per il suo nuovo disco si è ritrovato a collaborare con un produttore, Jason Falkner, che ha lavorato (tra gli altri) con Paul Mc Cartney. Non è proprio la stessa cosa, ma non è neanche un dettaglio di poco conto, se consideriamo che per anni il Nostro ha realizzato dischi utilizzando un registratore da due soldi e poco altro. Il tentativo di “normalizzare” (perlomeno sul piano della qualità di registrazione) l’arte di Johnston, operazione portata avanti, con diversi co-protagonisti e diversi risultati dall’inizio degli anni ’90, è una faccenda piuttosto delicata: ogni orpello, ogni minima “levigatura” del suo stile così spontaneo, naïve e viscerale corre il rischio di snaturare l’essenza della sua musica.
Falkner, che oltre a produrre il disco ha suonato quasi tutti gli strumenti (tranne la batteria, suonata da Joey Waronker, già con REM, Beck, Smashing Pumpkins), ha avuto l’accortenza di preservare l’anima delle canzoni di Johnston, senza che gli arrangiamenti e la registrazione professionale potessero risultare “posticci” o peggio ancora “scollegati” dal mood generale dei brani. Il risultato: undici canzoni, per trentacinque minuti circa, con una serie di episodi davvero memorabili, ed altri meno entusiasmanti. Un lavoro assolutamente godibile, apprezzabile anche da chi non hai mai ascoltato Johnston neanche una volta. Il talento melodico di Daniel esplode in pop song semplicemente commoventi come “High Horse”, la sua anima rock si rivela nella divertente “Fake records of rock rock and roll”, mentre la title track è infarcita di psichedelia agro dolce. Daniel, come sempre, alterna temi e stati d’animo: un attimo prima lo trovi a rimpiangere la sua cagnolina scomparsa (la splendida “Queenie the doggie”), e poco dopo a scherzare (?) sulla propria malattia mentale (“I had lost my mind”). Tra le più gradite sorprese dell’anno che ormai volge al termine.
Autore: Daniele Lama