Una Casa della Musica gremita per tre quarti ed un ritardo di un’ora e mezza. Nel mezzo l’esibizione incolore di AtleticoDefina (al secolo Pasquale Defina) che porta sul palco un progetto che vede la collaborazione di Giorgio Prette e Andrea Viti (rispettivamente batterista e ex bassista degli Afterhours): sonorità rock a base delle solite schitarrate e rime di imbarazzante banalità (ma recitate come fosse Bugo, perciò intelletual-chic).
Poi Manuel Agnelli intona le note di “You Know You’re Right”, straordinario brano postumo dei Nirvana, un omaggio che fa pensare a quanto avrebbe da dare Cobain se fosse ancora in vita, a quanto lucide sarebbero state le sue prospettive musicali. Terminata la cover giustificativa dell’uscita discografica natalizia, sul palco salgono gli altri componenti del gruppo ed inizia subito il viaggio temporale ed emotivo, scandito dal percorso tra i pezzi di un grandissimo passato.
L’energia di Manuel Agnelli è travolgente. Non c’è niente da dire. La scaletta alterna vecchi brani come di grande fama come “Strategie”, “Dentro Marilyn”, “1.9.9.6”, “Pelle”, “Dea”, inframmezzandoli a perle di culto come “Senza finestra”, a quelli più recenti come “La vedova bianca”, “Ballate per piccole iene”, “La sottile linea bianca”, passando attraverso i pezzi dell’ultimo disco “I milanesi ammazzano il sabato” con “Tutti gli uomini del presidente”, “E’ solo febbre”, “Neppure carne da cannone”, “Tema: la mia città”, “Tarantella all’inazione”.
Senza ombra di dubbio Agnelli è il frontman naturale del gruppo, è intenso nelle interpretazioni di tutti i pezzi, riesce a darsi senza alcuna remora catturando con la sua voce il pubblico che risponde sempre con la stessa intensità mettendo in moto un meccanismo ciclico di scambio di energie. Quello che piacevolmente si nota, però è che ogni elemento degli Afterhours è importante alla stessa maniera e che soprattutto le diverse anime si uniscono perfettamente dando vita ad un insieme che risulta essere probabilmente come mai prima armonioso. Singolarmente suonano e cantano con forza e attenzione ma nessuno primeggia sull’altro. Ogni elemento è essenziale alla stessa maniera. Ed è questo un aspetto che si nota con evidenza durante tutto il concerto, soprattutto nell’esecuzione dei brani dell’ultimo album (in ristampa con la cover appunto dei Nirvana e l’inedito “Due di noi”). Brani che prevedono una presenza anche in fase compositiva ben più attiva e marcata rispetto a quelli passati di tutti i musicisti e lo si sente ad esempio in “E’ solo febbre” e “Tutti gli uomini del presidente” con le voci di tutti ad accompagnare quella di Agnelli.
A questo proposito vanno sottolineati la compattezza davvero mostruosa degli arrangiamenti di sostanzialmente tutti i brani, con alcune vette nei brani in cui c’è più evidente lo zampino di Enrico Gabrielli (già Marco Parente Band e Mariposa), in grado addirittura di introdurre elementi atonali e politimbrici nelle granitiche composizioni della rock band per eccellenza dell’indie italiano.
Due ore di spettacolo che filano lisce, senza intoppi, i brani ben legati fra loro, due bis, l’ultimo forse un po’ sottotono se non fosse stato per la sempre splendida “Bye Bye Bombay” che precede la chiusura con “Orchi e fate sono soli”.
Come ci si aspettava gli Afterhours in linea di massima non deludono, anzi l’impressione di aver perso o quanto meno accantonato quell’aria tutta blasé da star all’ora dell’aperitivo che spesso contraddistingueva la band, rende il concerto ancora più godibile, la fotografia di una band che non si perde in auto-compiacimenti, ma che si impegna piuttosto a suonare sempre meglio.
Autore: Elettra Boccia e Pasquale Napolitano
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