E con questo fanno dieci. No, non do i numeri (spero), semplicemente gli/lo Idaho con questo “The Lone gunman” timbra il “cartellino” del decimo album. Il doppio articolo non è messo lì a caso e infatti a questo decimo album Jeff Martin è arrivato da solo. Gli Idaho, infatti, partono come un duo, man mano si espandono fino a diventare una band vera e propria che però si perde per la via fino a ridursi all’osso. Che è un eufemismo, ovviamente, dato che Martin è sempre stato la mente di questo gruppo che, diciamocelo chiaramente, di fama (internazionale) ne ha avuta ben poca. Probabilmente il motivo è da attribuirsi alle scelte melodiche di Martin che, vedendosene bene dal seguire mode, va avanti per la sua strada melanconica.
Dietro quella copertina kafkiana (ovviamente il riferimento è al personaggio in copertina; con il retro che rimanda al Metropolis di Lang), infatti, si nascondono suoni struggenti che ricordano gli americani “Lorna” (recensiti poco tempo fa e inclusi nel catalogo “Words on music”).
Alla strumentale “The orange cliffs” seguono i sospiri e il piano (sono tanti quelli che si alternano all’interno dell’album) di “ECHELON”. Titoli che riecheggiano l’attualità come la strumentale “The days of petrol” e visioni poetiche (“Where the canyon meets the stars”). Sad songs come “Have to be” (I wonder why/he have to be alone) si alternano a canzoni più “solari” come “Just might run” o “You flew”.
A condire tutto poi, quando la canzone non è strumentale, ci pensa la voce strascinata e sospirata (vedi “Some dogs can fly”) di Martin che da sola riuscirebbe a creare tutte le atmosfere dell’album.
Quando la musica ti cattura prendendoti per mano e accompagnandoti in luoghi suggestivi e misteriosi. Dove gli unici suoni sono le dolci melodie d(egl)i Idaho, e il proprio respiro.
Autore: Francesco Raiola