Il disco tematico è sempre uno scoglio difficile per un artista, d’altro canto non lo prescrive di certo il dottore; quello di classici napoletani – se il napoletano non è il tuo dialetto – sa di fasullo lontano un chilometro, quello natalizio quasi sempre è una vera e propria calamità, quello di canzoni per bambini più o meno lo stesso… ed è proprio con quest’ultimo che la californiana Laura Veirs decide di misurarsi in questo Tumble Bee che contiene 13 filastrocche, ninnananne e scioglilingua americani nella forma folk acustica tradizionale, tutta roba composta dall’inizio del ‘900 fino alle ballate di Jimmie Rodgers, Woody Guthrie, Peggy Seeger ed Harry Belafonte.
Divenuta mamma l’anno scorso, la Veirs si dev’essere avvicinata naturalmente a questo genere di canzoni in cui l’America ha una buona tradizione – ma l’Europa non sarebbe da meno, anzi… – e il suo approfondimento è proceduto con approccio anche filologico, ascoltando i dischi specifici della sempre consigliabile Harry Smith’s Anthology of American Folk Music.
Tanti gli ospiti – Colin Meloy dei Decemberists, Jim James dei My Morning Jacket, Carl Broemel, Basia Bulat, Bela Fleck, Karl Blau e membri dei Blind Pilot, tra gli altri – e il solito stile familiare nel registrare i brani che caratterizza da sempre la musica di Laura Veirs, per un risultato molto gradevole, formalmente abbastanza equilibrato e dagli episodi attualizzati, che tutto sommato non fanno cadere le braccia per l’irritazione, rischio sempre dietro l’angolo, per questo tipo di progetti che narrano di mamma oca, principi e principesse sistematicamente vittime di incantesimi, orchi, folletti e animali parlanti in quantità.
C’è un po’ tutta l’America, nel disco – ‘Jump down, Spin Around’ è un gospel blues à la Leadbelly, mentre ‘Jack Can Ride’ e ‘Prairie Lullaby’ sono folk d’origine irlandese – ma col valore aggiunto di arrangiamenti e incisione fortunatamente moderni e adeguati, e così ‘Jack Can I Ride’ e ‘Little Lap-Dog Lullaby’, entrambe di Ruth Crawford Seeger, sono due filastrocche tipo ‘La Fiera dell’Est’ di Angelo Branduardi, ‘Prairie Lullaby’ di Billy Hill è una ninna nanna rassicurante sul fatto che presto farà di nuovo giorno – tra le cose più tenere del disco –, ‘Tumble Bee’ di Karl Blau è una filastrocca basata su continui giochi di parole, proprio come il tradizionale ‘King Kong Kitchie Kitchie Ki-Me-O’, impossibile da rendere in italiano, mentre ‘All the Pretty little Horses’ è forse la canzone più famosa, che ricordiamo cantata anche da Judy Collins, Calexico, Current 93, Journeymen, Shearwater, Laura Gibson e Peter Paul & Mary e ‘The Fox’ è un tradizionale che narra dei complicati rapporti che da sempre intercorrono tra le volpi e le anatre, laddove ‘Jamaica Farewell’ è esotica e un po’ colonialista.
Forse involontariamente, o forse per una precisa scelta, ma la Veirs finisce molto spesso per far riferimento proprio a Peter Paul & Mary nello stile, ed è comprensibile, del resto, perché lì c’è la grande tradizione americana delle canzoni folk per l’infanzia.
Disco non per tutti, inevitabilmente fragile per ovvi motivi – i contenuti infantili e buonisti – ma ben realizzato e con un suo preciso senso.
Autore: Fausto Turi