Alcuni album diventano leggenda per quanto hanno venduto (The Joshua Tree, The Dark Side of the Moon), alcuni per il loro impatto sulla cultura popolare (Revolver, The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars), alcuni per la loro qualità musicale (Blood on the Tracks, Catch a Fire). On The Beach di Neil Young è diventato, invece, leggendario per un motivo completamente diverso. L’album vendette quasi niente quando venne pubblicato, ormai quarant’anni fa, e non fu più ristampato, andando, ben presto, fuori catalogo e lasciando un vuoto nella discografia di uno dei personaggi più interessanti della musica popolare.
Le ragioni di ciò come vedremo risiedevano in uno dei periodi più duri della vita di Young, periodo che condusse il canadese a realizzare quella che viene ricordata come la Trilogia del Dolore (Fades Away, On the Beach e Tonight’s the Night).
All’epoca della pubblicazione originaria, l’album non fu un grosso successo (16º posto negli Stati Uniti, 42° in Gran Bretagna), venendo accolto dai più come un’opera pessimista quando non deprimente. In effetti l’oscurità di quei momenti era tale che lo stesso Young arrivò, ben presto, a rinnegare tutto, supportato in questo dalla sua casa discografica che aveva sempre faticato ad accettare quel pugno di canzoni nude e crude, spingendo, invece, più che apertamente, perchè si desse seguito al successo di Harvest. Così anche quando negli anni ’80 l’industria discografica, per convertire i cataloghi nel formato CD, diede il via alla “ristampa selvaggia”, On the Beach ne rimase escluso. In quel vuoto finì, inaspettatamente, per alimentarsi il culto. Tra gli appassionati del cantautore canadese, l’aver ascoltato l’album era considerato alla stregua di un titolo d’onore. I pochi che se ne potevano fregiare, sostenevano, intrigando tutti gli altri, come On The Beach rappresentasse una vera e propria gemma. Negli anni la leggenda continuò ad alimentarsi, fino a quando un certo Colin Young decise nel 2000 di per dare vita ad una petizione in favore della sua ripubblicazione sul sito Rust and Human Highway. Furono raccolte oltre 5.000 firme e nell’agosto del 2003, On The Beach, ritornò così sugli scaffali dei negozi. Oggi l’album ha ripreso il posto che gli spetta nella storia della musica popolare (Pitchfork lo ha inserito al 65° posto nella classifica dei migliori album degli anni ‘70) e può essere considerato come una perfetta metafora delle nevrosi che percorrono il mondo del rock.
Mentre la musica di Bob Dylan contribuì a dare voce fervore morale e alla ribellione generazionale dei Sixties, Young, espresse, con altrettanta credibilità, il senso di colpa, l’insicurezza e la paranoia del decennio successivo, quando, ormai, cominciava ad essere chiaro a tutti come l’idealismo della controcultura si andava spegnendo e i suoi eroi, o almeno quelli ancora in vita, ad accettare di buon grado i compressi con il mainstream.
Bisogna ricordare che Young visse al centro di molti degli eventi centrali di quegli anni: era a Woodstock, ma rifiutò di farsi filmare subodorando la deriva commerciale in agguato, ma fu intimo anche di Charles Manson, sponsorizzandone, persino, un ingaggio discografico presso la Warner. Da questo punto di vista On The Beach è l’album, all’interno della Trilogia del Dolore, maggiormente in equilibrio nel legare il racconto della disillusione pubblica e di quella personale. Ironia della sorte, l’alienazione e il mal di vivere toccarono l’apice con il raggiungimento del successo, Harvest era da poco balzato 1° posto sia negli States che in Gran Bretagna. Nel giro di pochi mesi, la prospettiva che aveva condotto al successo venne completamente stravolta. In principio ci fu la morte di due amici come Danny Whitten, chitarrista dei Crazy Horse, e di Bruce Berry, un roadie al fianco di Young fin dai primi momenti, entrambi deceduti per un overdose di eroina. Il suo matrimonio con l’attrice Carrie Snodgrass era, oramai agli sgoccioli e al suo primo figlio Zeke era stato diagnosticato con paralisi cerebrale. Il consumo di droga e di alcol trovava, inoltre, una resistenza sempre più blanda. Tutto ciò finì per rovesciarsi nelle canzoni registrate in quei mesi a partire da quelle di Time Fades Away, un live che, cosa del tutto insolita per l’epoca, conteneva solo pezzi inediti. Erano storie di angoscia e rabbia sulla droga (Time Fades Away) o sul trauma della scomparsa (Don’t Be Denied) che mettevano a nudo l’anima e il senso di crescente malessere.
Time Fades Away era solo il primo passo, perché nell’estate Young tornò di nuovo in studio per le session di Tonight’s the Night, letteralmente dominato dalle figure dei due amici scomparsi, e ancor più dal rimpianto personale di Neil: < > (Neil Young, 1975).
Una meditazione sul rock, la droga e la morte.. Tonight’s the Night pt 1 e 2 erano dedicate a Berry, mentre Come on Baby Let’s Go Downtown a Whitten. L’atmosfera era cupa e non lasciava trasparire la minima speranza e la voce di Young incerta ed, in alcuni momenti, decisamente ubriaca. Una “lunga notte dell’anima” resa anche graficamente dalla copertina, nera come la pece: < <È stato spettrale. Molto probabilmente sento quest’album più di qualsiasi altra cosa che abbia mai fatto>> (Neil Young).
Allo sbandamento personale dell’artista si aggiunsero anche le pressioni della Reprise, la casa discografica spingeva perché Young desse un seguito ad Harvest ed era del tutto disinteressata alla realizzazione di Tonight’s the Night, la cui uscita fu sospesa e avvenne solo dopo On the Beach. In realtà il cantautore canadese avrebbe potuto senza alcun problema accontentare la sua casa discografica, Harvest II era, infatti, già nel cassetto, ma alla fine la scelta finale cadde su Tonight’s the Night per la necessità profonda e assolutamente personale di continuare quell’esperienza di espiazione e di catarsi. Molti di quei brani rimasti nel cassetto circolarono dapprima in una sorta di bootleg dal titolo Homegrown, per poi essere ripresi nei lavori degli anni successivi. Come riconoscerà successivamente lo stesso Young: < >.
On the Beach venne registrato caoticamente tra il 30 novembre 1973 e il 7 aprile 1974 tra il Broken Arrow Ranch, gli Sunset Sound Studios e il Sunset Marquis Hotel a Hollywood e vi prese parte un gruppo eterogeneo di musicisti tra cui oltre David Crosby e Graham Nash, Levon Helm e Rick Danko. L’atmosfera che avvolse le session di registrazione era languida e dissoluta, influenzata pesantemente dal pesante consumo di “honey slides”, in pratica vere e proprie frittelle preparate con marijuana e miele dalla moglie di Rusty Kershaw, un bizzarro musicista country divenuto amico intimo di Young. Per non farsi mancare nulla, le giornate erano anche vivacizzate dalla assidua presenza dell’attrice porno Linda Lovelace e da una folla variopinta di conigliette di Playboy. Come ricordò il bassista Tim Drummond si trattava di < >.
Il suo suono era crudo e ruvido, i brani furono sviluppati partendo da arrangiamenti scheletrici, in maniera simile a quanto fatto per Tonight’s the Night. Il tono variava magistralmente dall’ombroso al visionario, i testi affrontano questioni estetiche e politiche che esemplificano il deterioramento della cultura americana con le sue paranoie collettiva e sensi di colpa. Da questo punto di vista, un’influenza importante venne proprio da Kershaw. Fu lui a spingere Young a sperimentare maggiormente stili quali il folk rurale e il blues e a dimostrazione della sua importanza in quei giorni, Kershaw fu anche incaricato della stesura delle note interne della copertina, oltre ad apparire in Motion Pictures (For Carrie) alla slide ed in Ambulance Blues al violino.
Ancor prima di far girare il disco sul piatto, si poteva, comunque, avere un’idea degli umori che pervadevano l’album già gettando uno squardo alla copertina ideata dallo stesso Young e realizzata da dal fotografo Bob Seidemann e dal grafico Rick Griffin. Young veniva ritratto in un quadro dominato da un senso di velata malinconia e desolazione. Di spalle, , lo sguardo fisso su di un orizzonte lontano sulla spiaggia di Santa Monica. Intorno a lui una sdraio aperta, un tavolino e una lattina di birra, un ombrellone, due sedie e una Cadillac mezza sepolta dalla sabbia, da cui spunta anche un giornale sul quale si può leggere < >. L’idea, come racconta lo stesso Young nella sua autobiografia , fu un fulmine a ciel sereno: < >.
L’album si apre con Walk On con i suoi bagliori rock e il suo livore verso i critici: «I hear some people been talkin’ me down/ Bring up my name/ pass it ‘round / They don’t mention the happy times/ They do their thing / I’ll do mine» (Sento che qualcuno sparla di me/ fanno il mio nome a casaccio e se lo rigirano/ non parlano dei tempi felici/ si facciano gli affari loro/ io mi farò i miei).
See The Sky About To Rain, è una ballata commovente, solcata dal piano Wurlitzer e dagli arpeggi malinconici della steel guitar, e con il mesto drumming di Levon Helm ad assecondare il bisbiglio di Young. Si tratta di una delle composizioni più vecchie, provata nel corso delle sessioni per Harvest, ed eseguita già in pubblico nel corso del tour acustico del 1971. Ma è con la terza traccia, la movimentata Revolution Blues, che l’album entra nel suo cuore di tenebra. Uno dei brani più controversi dell’intera storia del rock, perché dedicato a Charles Manson. Revolution Blues vibra sulla chitarra di David Crosby e sul supporto ritmico quasi funky di Rick Danko e Levon Helm, prima che Young entri in scena con un assolo allucinato e con un lamento sorretto solo dalla forza dei nervi: < > (Bene, ho sentito che Laurel Canyon è piena di famose star/ Ma io le odio peggio dei lebbrosi/ e le ucciderò nelle loro auto), come dire la miglior istantanea possibile dell’utopia californiana andata in frantumati. La prima facciata si chiude con la struggente Vampire Blues, un atto d’accusa contro l’avidità delle grandi compagnie petrolifere. In apertura della seconda parte troviamo la title track, uno angoscioso blues psichedelico: < > (Tutte le mie fotografie si stanno staccando/ dalla parete dove/ le avevo messe ieri/ Il mondo sta girando/ spero che non svanisca). Quando sembra di aver toccato l’acme della tensione emotiva, arriva la ballata notturna di Motion Pictures (For Carrie). Un ponte sospeso in una valle di lacrime, sorretto solo dalla slide guitar di Kershaw: < <I’m deep inside myself/ but I’ll get out somehow/ and I’ll stand before you/ and I’ll bring a smile to your eyes>> (Sono chiuso in me stesso/ ma ne uscirò in qualche modo/ e staro davanti a te/ e porterò un sorriso per i tuoi occhi).
A chiudere tutto ci sono gli otto minuti di Ambulance Blues con la loro epica potenza emotiva cullati tra i sospiri del violino di Kershaw e i sibili dell’armonica di Young:< < I never knew a man could tell so many lies/ He had a different story for every set of eyes/ How can he remember who he’s talkin’ to?/ ‘Cause I know it ain’t me
and I hope it isn’t you>> (Non ho mai conosciuto un uomo che potesse dire tante bugie/ ha una storia diversa per ogni sguardo/ come può ricordarsi con chi sta parlando?/ poiché so che non sono io/ e spero che non sia tu). La paranoia post-hippie, ambulanze che sfrecciano veloci tra le rovine di un’America desolata il calvario del Vietnam e il Watergate (il bugiardo è Nixon), il successo e il declino e l’Arte come unica via per sconfiggere i propri fantasmi. Il critico di Rolling Stone Stephen Holden definì i nove minuti di Ambulance Blues come uno degli apici della carriera di Young e On the Beach come uno dei più disperati del decennio.
autore: Alfredo Amodeo