Dall’Australia giunge all’esordio, per l’americana SubPop, questo quartetto che a quanto pare si sarebbe spostato addirittura sulle cime dell’Himalaya per trovare l’ispirazione mistica e la quiete necessaria per incidere queste 13 canzoni che insistono verso una sorta di restaurazione del folk americano anni 60-70, sulla scia di quanto stanno facendo da alcuni anni i colleghi d’etichetta Fleet Foxes, o anche Grizzly Bear, Sufjan Stevens e Midlake.
In una sorta di trasfigurazione psichedelica, acustica e indie, il gruppo rielabora dunque i linguaggi agresti di certa tradizione folk americana – CS&N, Jackson Browne, Neil Young – tra melodie romantiche cristalline e dalle tonalità minori che spesso – soprattutto in ‘The Woods’, ‘Dark Sea’ e nel ritornello di ‘Hundred Dollar Suit’ – richiamano lo spleen esistenziale dei Radiohead e dei Mùm, con ritornelli a più voci e tanta malinconia.
La band, capitanata dal cantante chitarrista Husky Gawenda, è poi completata dal tastierista Gideon Preiss, dal batterista Luke Collins e dal bassista Evan Tweedie, e in Forever So si muove su ritmi tenui e toni morbidi – malgrado nell’originale ‘Fake Moustache’ vi si scorgano scampoli prog, ed anche ‘History’s Door’ sia un’avvolgente folk rock in cui Preiss alle tastiere ricrea un effetto vagamente genesisiano – laddove il brano d’apertura, intitolato ‘Tidal Wave’ sembri invece una nuova ‘The Needle and the Damage Done’, capolavoro di Neil Young dei bei tempi andati.
Sempre sottile il confine tra rielaborazione di modelli ampiamente sdoganati e creazione originale, ma gli Husky riescono a risultare apprezzabili proprio grazie alla scrittura emotiva e di qualità – per esempio la splendida ‘Animals & Freaks’, o la languida, confidenziale ‘Don’t Tell your Mother’, virtualmente agganciata alla successiva ‘Farewell’ poiché in entrambe la protagonista femminile citata dal cantante si chiama Josephine… – bypassando così il dilemma, e pur muovendosi sempre su linguaggi del passato, suoni classicissimi compresi.
Necessario però precisare che in tanta estatica e ariosa bellezza folk sembra talvolta perdersi il gusto dell’attimo, dell’episodio singolo, e così 13 brani bucolici e midtempo degli Husky – presi singolarmente eccellenti ed indiscutibili – possono anche risultare un tantino noiosi, messi in fila in un disco, appiattendosi l’uno sull’altro, ed è un peccato essere costretti a scrivere questa cosa che potrebbe generare fraintendimenti, perché il quartetto ha talento e doti non comuni, e Forever So è ad ogni modo un passaggio obbligato, per chi segue la scena folk americana. Nota di merito finale anche alla copertina del disco, più ricca di dettagli e significati di quanto possa sembrare a prima vista.
Autore: Fausto Turi