Punta di diamante della psichedelia italiana, veterani della scena underground, i pisani Strange Flowers, in attività dal 1989 pur con diversi “stop&go”, hanno pubblicato quest’anno il loro quinto album “Vagina Mother” (Go Down).
Un disco che svela il loro amore per un sound lisergico, al contempo ricercato e nostalgico. Ma è dal vivo, la loro dimensione preferita, che gli Strange Flowers mettono perfettamente a punto la propria formula sonora: un rigoglioso territorio musicale dove il rock psichedelico incrocia bellissime melodie e un caleidoscopio di suoni dilatati ed espansi.
Grazie anche alle magie del light-show ogni concerto degli “Strani Fiori” si trasforma in un’esperienza sensoriale totalizzante, realmente psichedelica. Ho incontrato Michele Marinò, fondatore e leader del gruppo, per parlare non solo del nuovo disco, ma anche del passato e del futuro degli Strange Flowers.
Siete figli della prima scena psichedelica pisana, quella leggendaria nata con Useless Boys prima e con il favoloso terzetto Birdmen Of Alkatraz-Liars-Steeplejack poi. Che ricordi avete di quel periodo?
E’ passato molto tempo e i ricordi sono piuttosto sbiaditi. A dire il vero noi abbiamo fatto parte di quella scena solo marginalmente e i nostri contatti con i musicisti dei gruppi da te citati sono stati pochini, tranne che con i Liars con cui abbiamo fatto un tour in Germania nell’89. Quello che posso dirti è che, contrariamente a quanto si crede, l’impressione è che non ci fosse una scena vera e propria, intesa come movimento comune. Ognuno andava per la sua strada e pensava esclusivamente al suo orticello, e dopo non è andata molto meglio. Ed è un vero peccato, perché anche per questo musicisti pieni di talento non hanno avuto la visibilità che avrebbero meritato.
Dopo la pubblicazione del vostro primo singolo e dell’album su Music Maniac nel 1994, avete “interrotto a lungo le trasmissioni”. Cosa vi ha spinto a riformare la band a metà anni 2000?
La nostra storia è come una malattia cronica con guarigioni e ricadute. Diverse volte siamo stati a un passo dal mollare, sempre per ragioni che poco avevano a che fare con la musica e con i rapporti tra i componenti del gruppo. Le nostre “crisi” sono dipese dalla mancanza di un riconoscimento che, forse immodestamente, abbiamo via via creduto di meritare. Quando ti rendi conto che non è la musica che fai, buona o cattiva che sia, a determinare il tuo destino, quanto piuttosto elementi che nulla hanno a che fare con essa e con cui sai già di non voler comprometterti, non puoi non domandarti “io qui cosa ci faccio?”. Tuttavia sei e resti un musicista e alla fine torni sempre lì, in una sala prove e poi su di un palco a suonare delle canzoni, perché solo così puoi sentirti bene, anche se sembra che non abbia senso o che ce l’abbia solo per te.
Nel ’94 abbiamo pubblicato un disco (“Music For Astronauts”) secondo noi molto bello di cui in Italia non si è accorto nessuno. E benché all’estero abbia avuto almeno in parte il riscontro che forse meritava, la delusione è stata tale da costringerci a fermarci, peraltro senza mai dirlo. Nel ’97 io mi sono trasferito negli Stati Uniti e quando nel 2004, dopo il mio ritorno, abbiamo ripreso a suonare, l’unica e sola motivazione è stata la musica, qualcosa di cui evidentemente non possiamo fare a meno.
Da quando avete rimesso insieme la band la vostra attività sia discografica che concertistica è stata frenetica e prolifica. Vuoi spendere due parole per ognuno dei vostri dischi precedenti? Ovviamente non puoi sottrarti al giochino del “vostro album preferito”….
La carriera degli Strange Flowers si divide in due periodi, corrispondenti a due diverse formazioni. La prima ha realizzato 3 album, di cui il migliore è a mio avviso “Ortoflorovivaistica”, nel quale siamo riusciti a esprimere compiutamente la nostra attitudine all’improvvisazione. Un gradino sotto ci metto il primo, “Music For Astronauts”. “The Imaginary Space Travel Of The Naked Monkeys” è un disco postumo, uscito dopo che c’era già stato il cambio della line-up, ma che raccoglie alcune tra le nostre migliori canzoni.
Rispetto ai primi due è più eterogeneo e sicuramente meno psichedelico. Il primo album della seconda formazione, quella attuale che oltre a me (voce e chitarra) comprende anche Nicola Cionini alla chitarra, Alessandro Santoni alla voce e al basso, e Gabriele Pozzolini alla batteria, è “Aeroplanes In The Backyard”. Una raccolta di canzoni secondo me molto buone, con un perfetto equilibrio tra la nostra anima beat e quella psichedelica, e con almeno alcuni dei nostri momenti migliori in assoluto, in particolare in “Everyone Has A Spot In The Sunshine”.
Veniamo alla vostra ultima prova discografica, “Vagina Mother”. Per la produzione del disco avete chiamato Federico Guglielmi, penna storica del giornalismo musicale italiano e in passato discografico e produttore indipendente. Come mai la vostra scelta è caduta su di lui e siete contenti del risultato finale?
A dire il vero Guglielmi è stato scelto dalla casa discografica e non da noi, non essendo egli un produttore, o almeno non per come lo intendiamo. Avevamo ricevuto una proposta da Bobby McIntyre (il batterista di Greg Dulli) che ci aveva visti per caso dal vivo a Milano, e avevamo anche contattato Amerigo Verardi che sarebbe stato disponibile. Tuttavia entrambe queste opzioni erano troppo costose. Guglielmi era molto più economico e secondo l’etichetta pur non avendo in realtà le competenze di un produttore artistico avrebbe potuto offrire molto di più in termini di promozione rispetto agli altri due. Quanto al risultato, posso solo dirti che “Vagina Mother” non suona come avremmo voluto, non riflette le nostre intenzioni né il modo in cui abbiamo suonato quelle canzoni. Inoltre la nostra visibilità non sembra troppo diversa da quella di prima. Non so cosa ne pensi Federico, che non sento da tempo, ma credo che anche lui non possa non essere d’accordo.
In questo album prevale la dimensione più meditativa degli Strange Flowers, ci sono pochi brani di rock psichedelico e più ballate dal sapore nostalgico. E’ stata una scelta realizzare un disco che mettesse in luce questo aspetto della band?
La tua domanda conferma la giustezza della nostra impressione su “Vagina Mother”, che non voleva e non doveva essere né meditativo né nostalgico, come invece sembra a causa di una post-produzione che ha sostanzialmente appiattito tutto e reso tutto simile. Non volevamo assolutamente che emergesse solo quest’aspetto e l’intenzione con cui abbiamo suonato molte della canzoni era ben diversa.
Alla fine da questo disco viene fuori qualcosa che non siamo noi, come forse tu stesso potrai confermare avendoci visti dal vivo in diverse occasioni. Ed è un vero peccato, perché in “Vagina Mother” ci sono della canzoni secondo noi molto belle e che avrebbero meritato un vestito ben diverso.
Quali sono, secondo te, i brani più riusciti dell’album e/o quelli a cui sei più legato da un punto di vista emozionale?
Direi “Underneath Electric Wires” e “Seven Year Old Poets”, ma anche “Angela’s Disease” e “September”. Mi piacerebbe farle ascoltare nella loro versione originale, quella della pre-produzione fatta un paio di mesi prima di andare in studio, che le valorizza molto più della produzione finale. Magari un giorno le pubblicheremo.
Come mai avete deciso di realizzare la cover, sconvolta e irriconoscibile, di “Hollywood” di Madonna?
Ci è stato chiesto dall’etichetta e dal produttore di inserire la cover di una canzone di genere diverso e di riadattarla. Quella è una canzone che mi piaceva, a prescindere da Madonna, e che si prestava ad una revisione massiva e così la abbiamo scelta.
Per questo disco avete realizzato anche un bel video, il claustrofobico/allucinato “A Rose In Your Mouth”…
Probabilmente il video di “A Rose In Your Mouth” è la cosa migliore di “Vagina Mother”, considerato che è costato pochissimo e che è l’esordio alla regia di Giulia Altobelli come regista di videoclip. L’idea è stata sua, così come la scelta della location e dell’attore protagonista, Paolo Giommarelli, e noi non possiamo che ringraziare sia loro che Fabio Battelli, che ha curato le riprese, per l’ottimo lavoro che rende perfettamente il nostro spirito un po’ visionario e un po’ ironico.
Tra le bonus del disco c’è anche la versione in italiano di “Powder Tears” intitolata “Polvere”. E’ solo un esperimento o la cosa lascia prevedere degli sviluppi in italiano per gli Strange Flowers?
Come per “Hollywood” anche quella di una canzone in italiano è stata una richiesta dell’etichetta e del produttore. Trovo che “Polvere” sia una buona canzone, purtroppo anch’essa penalizzata dalla produzione, ma non credo che ripeteremo mai più una cosa simile, anche se non si sa mai.
Gli Strange Flowers prestano molta attenzione alla dimensione live, curando ogni singolo dettaglio: dalla scaletta al light-show, alla maniera dei vecchi gruppi psichedelici di fine Sessanta, sino al rito di chiusura del concerto. Inoltre suonate dal vivo spessissimo, a qualsiasi latitudine e a quasi qualsiasi condizione. Mi parli di questo aspetto della vostra attività artistica?
Cerchiamo di offrire uno spettacolo completo, con un capo e una coda. L’idea non è diversa da quella di un album: le canzoni devono essere complementari e svolgersi lungo un percorso che abbia un senso narrativo. Ed è per questo che utilizziamo i video, concepiti da Giulia Altobelli, di fatto il quinto componente del gruppo, come la vera rappresentazione visiva della nostra musica. Non si tratta solo un light-show, ma di qualcosa di molto più evoluto e compiuto. Detto questo, un conto è offrire uno spettacolo di primissimo livello, un conto è renderlo visibile. E’ vero che abbiamo suonato molto sia in Italia che all’estero, ma lo abbiamo fatto solo grazie alla nostra intraprendenza. Non abbiamo un’agenzia, il che significa procurarsi le date una per una, con le difficoltà che derivano dal monopolio dei locali da parte delle agenzie stesse. Peraltro le agenzie sembrano avere solo interessi economici, vanno sul sicuro, non rischiano mai e non sono propense a prendere in considerazione nuovi gruppi.
A Pisa ci sono almeno due agenzie, ma mai nessuno di loro si è degnato di venire a un nostro concerto anche se era sotto casa.
Inoltre la musica che suoniamo è decisamente fuori moda. Ma piuttosto che trasformarci in nuovi cantautori depressi o in gruppi che si accontentano della vanagloria di un piccolo successo fondato su compromessi e stratagemmi francamente disgustosi, preferiamo una dimensione più piccola che ci consente però di guardarci allo specchio senza doverci vergognare. Finchè ci sarà anche un solo spettatore interessato, ne sarà valsa la pena.
Dopo “Vagina Mother” e le innumerevoli date che ne sono seguite, quali saranno adesso le prossime mosse degli Strange Flowers?
Vogliamo metterci alle spalle “Vagina Mother” e voltare pagina. In autunno cominceremo a lavorare su un nuovo album, che produrremo noi stessi come in passato, sperando che questa volta le nostre idee vengano trasposte sui supporti fonografici in maniera più fedele.
Autore: Roberto Calabrò
http://www.strangeflowers.net