Il dodicesimo album da solista dell’ex voce e chitarra degli Husker Du è probabilmente il migliore. Sicuramente è il migliore degli ultimi tre dischi pubblicati dal 2012 ad oggi. La formula è abbastanza semplice e classica, si tratta ancora di pop-punk con deviazioni verso l’emo-core quindi l’indie degli anni ’90. Tuttavia, per chi è cresciuto con quelle sonorità, questo disco spacca e di brutto. Il cantato, a volte biascicato e altre più deciso, la sezione ritmica che mena e la sua chitarra con fraseggi brevi ed immediati, sono talmente efficaci da rimanere scolpiti nel cuore dell’ascoltatore. Mai come in questo lavoro Bob Mould era riuscito ad esplicitare, in maniera più o meno consapevole, le sue passioni per Neil Young e i Dinosaur Jr. In molto brani, infatti, restano sullo sfondo, ma ad un orecchio attento sono percettibili, quelle sonorità larghe e fragorose tanto care al rocker canadese (“Lucifer and god”), mentre in più di un occasione i brani sembrano una perfetta fusione tra la band i J Masics e gli HD (“Pray for rain”). Moluld non si esime dal proporre degli irruenti brani punk, vedi la cavalcata e tagliente “The end of things”, la veloce e serrata “Hands and tied” o la spigolosa “Losing time”, con un travolgente finale sonico. Lasciatevi travolgere, non ve ne pentirete, anche se ascoltando “Patch the sky” proverete quella intrigante e stranamente piacevole sensazione di un misto tra malinconia e nostalgia.
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autore: Vittorio Lannutti