L’incantevole ormai quasi quarantenne texana d’origine Jolie Holland al suo sesto album sceglie giustamente di cambiare, e lo fa con una svolta di stile che rimane però sempre nel solco della tradizione che le appartiene, e sempre per l’etichetta Anti che l’ha portata alle glorie internazionali.
Se Catalpa e Escondida però sono dei capolavori, ormai datati un decennio, lo stesso non si può dire per questo nuovo album, Dark Wine Sea, intenso, onesto e sincero, ma anche troppo intimista e ricercato per poter sfondare oltre il confine atlantico.
E’ la ricerca, la perfezione maniacale dei dettagli, l’ossessione di Jolie in questo lavoro: basta sentire come è curato l’apparente delirio sonoro di Dark Days, autentico omaggio a quel Tom Waits che l’ha scoperta agli albori e l’ha candidata come nuova grande autrice folk. C’è appunto tanto blues waitsiano, solo apparentemente figlio della più famosa Amy Winehouse, condito di testi altrettanto waitsiani, come in Route 30 o Palm Wine Drunkard, un blues così elettrico da cancellare i ricordi folk dei precedenti album. Solo in I Thought It was the Moon questo blues elettrico ritorna folk, ma è un indie-folk fortemente sperimentale e intimista, capace di dare peraltro una delle poche forti emozioni dell’album.
Gli appassionati di certi racconti alla Kerouac e Bukowski sapranno trovare in questi pezzi la conversione in musica e sonoro dei loro beniamini: il punto è che questo veniva fatto già 30 anni fa e più da un certo sig. Waits, la cui potenza lirica e onirica è certo irraggiungibile dalla pur volenterosa Holland.
Manca a Jolie non l’intensità né la passione, ma piuttosto un talento vocale e/o il colpo di genio degno di altri bluesmen e bluesladies famose: l’album scorre pieno di ottime idee, denso di bellissime esecuzioni, ma gli fa difetto un’eccessiva ricerca del dettaglio, del rumore di fondo, del contrasto a tutti i costi, come si può ascoltare nel brano forse più esemplificativo, Out on the Wine Dark Sea.
Godibile comunque pienamente, l’album non è però un incompiuto: è piuttosto un addentrarsi tenace, quasi ostinato, verso certi sentieri nascosti, bui del profondo sud musicale americano, intervallati solo dai momenti solari di All the Love e Waiting for the Sun, con quest’ultima che vuole essere, forse un po’ troppo pretenziosamente, la Sitting on the Dock of the Bay d’oltre millennio (se non vogliamo pensare a un puro plagio). Una sorta di cammino dentro una New Orleans surreale e onirica, o, per dirla come la sua autrice l’ha pensato, dentro un “mare vino scuro”.
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autore: Francesco Postiglione