I Died Pretty, sono stati una delle migliori band che hanno caratterizzato la stagione d’oro del rock australiano degli anni ’80 dove fin dai primi singoli oscuri come “Out of the Unknow” e la torrida cavalcata “psycho” “Mirror Blues”, oppure dal piglio decisamente più pop qual è “Stoneage Cinderella”, per finire con l’Ep “Next To Nothing”, ponevano le basi per quell’album capolavoro che è “Free Dirt” e che viene giustamente ricordato come uno dei dischi più importanti di quegli anni.
Queste prime prove discografiche fecero nascere il culto per la band di Brett Myers e Ron S. Peno, che si consolidò con altri singoli ed album come “Lost” e “Every Brilliant Eye” che non raggiunsero le vette del disco d’esordio ma che affinarono un sogwriting altamente qualitativo, che raggiunse completezza nel 1991 quando venne pubblicato “Doughboy Hollow” che li pose all’attenzione di un pubblico più ampio, pur non essendo il loro album più venduto che resta appannaggio del successivo “Trace”, pur non consegnandogli quel successo commerciale che avrebbero meritato.
Gli album successivi portarono la band lontano dai suoni degli esordi alla ricerca di una sperimentazione che non ha dato risultati brillanti.
Nella discografia dei Died Pretty mancava un album che catturasse tutta l’energia che la formazione riversava nelle esibizioni dal vivo e a sopperire a questa mancanza arriva oggi, un po’ a sorpresa, questo “Live” pubblicato dalla loro etichetta degli esordi, la Citadel Records del mitico John Needham.
L’occasione per la registrazione di questo album avvenuta, al Forum Theatre di Melbourne, arriva quando la band si è riformata per suonare una serie di concerti in tutta l’Australia come parte della serie “Don’t Look Back” (che comprendeva anche i Sonic Youth che eseguivano tutto “Daydream Nation” e gli Scientists che riproponevano per intero “Blood Red River”), in cui veniva suonato per intero “Doughboy Hollow” più qualche vecchio brano del passato.
Una registrazione che è rimasta tesoro nascosto per ben lunghi quindici anni e che oggi vede la luce in una limitata versione in doppio Lp con copertina gatefold, contenente 17 brani, mentre la versione in cd ne contiene uno in meno.
Il disco è magnifico, la band composta da John Hoey (tastiere), Steve Clark (basso e Voce) Ron S. Peno (voce solista) Chris Welsh (batteria) e Brett Myers (chitarra) suona in maniera eccellente con poche concessioni alle digressioni tipiche dei live, mettendo in fila uno dietro l’altro gli undici brani secondo la scaletta originaria di “Doghboy Hollow”, mettendo in risalto le melodie di quei brani con una pulizia del suono che ne esalta ogni aspetto: la psichedelia oscura di “Battle of Stanmore“, la maestosità pop di brani come “Out In The Rain” e “The Love Song”, le irresistibili “DC” e “Godbless” ma anche gli altri brani che mettono in evidenza come in quel disco Myers e compagni riuscirono a trovare quella coesione e profondità del suono, forse un po’ troppo levigata, che cercavano da tempo, per raggiungere un successo più ampio che era nelle loro possibilità.
Nonostante gli anni trascorsi la voce di Ron S. Peno è brillante come quella di un tempo e come abbiamo continuato ad apprezzare nei dischi suonati con la sua band attuale The Superstitions, valga come esempio il ricamo in falsetto che fa su “Satisfied”.
Ma tutta la band aggiunge ai brani di “Doughboy Hollow” particolari sfumature che ne arricchiscono la portata, trasformandolo in un qualcosa di diverso ma complementare all’originale.
I Died Pretty si lasciano andare quando mettono mano, nella seconda parte del concerto, al materiale più vecchio, ritornando ad essere quell’altra faccia della medaglia che sono sempre stati rispetto alla band impegnata in studio di registrazione. Lo dimostrano apertamente le versioni presenti su questo disco di “Blue Sky Day‘, ‘Everybody Moves‘, ‘Stoneage Cinderella‘, ‘Winterland‘, ”Wihtlam Square”’ che suonano vitali e immediate, rabbiose e appassionate come quelle che venivano suonate sul finire degli anni ottanta in quei memorabili concerti che avemmo la fortuna di vedere anche in Italia.
Se proprio dovessimo trovare un difetto, in maniera indecorosamente ingenerosa, a questo Live è quella di segnalare la dolorosa mancanza di brani come “Mirror Blues”, “Life To Go (Ladsakes)” oppure “Desperate Hours” ma per fare mettere il cuore in pace ai vecchi fan come il sottoscritto basta la magnifica versione di “Final Twist” che chiude in maniera maestosa quello che con tutta probabilità è l’ultimo disco che vedremo apparire sul mercato a firma Died Pretty.
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autore: Eliseno Sposato