Prima di parlare dei 50 anni di The Dark Side of the Moon e della stampa celebrativa del Live at Wembley 1974, contenente l’esecuzione dal vivo dell’intero disco, devo fare una doverosa premessa per rendere la mia narrazione intellettualmente onesta e scevra da partigianerie: non ho mai condiviso “l’iperdulia mariana” che accompagna i Pink Floyd, sia tra i loro “devoti” fan che tra alcuni “addetti ai lavori”; i 50 anni di The Dark Side of the Moon, e la pubblicazione del Live at Wembley 1974, sono però spunto interessante per alcune riflessioni che vadano oltre un’abusata analisi del disco, della sua storia, delle sue stampe, edizioni …
Avrò avuto non più di 14 anni, lo ricordo perché ero al primo anno delle superiori, quando acquistai The Dark Side of the Moon e, da adolescente, rimasi straniato e affascinato da quelle musiche eleganti e morbide e dai quei testi “profondi” e di una impeccabile poetica, capaci entrambi di svilupparsi con un’evoluzione narrativa da letteratura scritta, produttrice di immagini e di visioni; ancora oggi, quando ascolto i primi minuti del LP, sento e vedo, nei ricordi, quel periodo passato. The Dark Side of the Moon l’ho, poi, “vissuto” dal vivo, interamente, nel 1994, a Roma, nel corso del tour post The Division Bell.
Nonostante, come abbia già detto, non condivida la “venerazione mistica” che molti nutrono per i Pink Floyd (rei di aver pubblicato – a parere dello scrivente – anche dischi estremamente sopravvalutati; sarò impopolare ma ho sempre mal digerito il “maldestro” tentativo di spingersi su territori a loro non propriamente congeniali, come nella parte in studio di Ummagumma, nella “suite” Atom Heart Mother – in collaborazione con Ron Geesin – o nella “concreta” Alan’s Psychedelic Breakfast, esperimenti, questi, funzionali solo a gettare le basi per ciò che di buono verrà negli anni successivi), devo necessariamente riconoscere la “perfezione” e l’“equilibrio” unico che scolpisce i solchi di The Dark Side of the Moon, rendendolo – a mio giudizio – il più riuscito prodotto discografico della storia della musica.
Una storia della musica che purtroppo, come la storia medesima spesso insegna nelle sue revisioni postume, non restituisce sempre un’immagine del vero, scomponendo, attraverso il suo prisma, gli eventi in soggettive percezioni, poi massificate, degli stessi.
Correva, infatti, il 1 marzo del 1973 quando negli USA (ancor prima che in Inghilterra) veniva pubblicato The Dark Side of the Moon; nello stesso anno, tanto nella “cara vecchia Europa” quanto nel “nuovo mondo”, vedevano la luce capolavori quali Cyborg di Klaus Schulze (che l’anno prima aveva dato alle stampe l’inarrivabile Irrlicht) e Fare Forward Voyagers (Soldier’s Choice) di John Fahey (per citare i più rappresentativi).
Senza scomodare la musica tedesca di quegli anni che, a dispetto dei Pink Floyd e del tanto celebrato rock progressivo, rappresenta la “summa” di tutta la musica dei primi anni settanta (solo l’anno prima della pubblicazione di The Dark Side of the Moon, nel 1972, oltre al già citato Irrlicht, le puntine suonavano: Hosianna Mantra dei Popol Vuh, Neu! dei Neu!, Zeit dei Tangerine Dream …), lo stesso mondo musicale più affine ai Pink Floyd, nel 1973, dava alle stampe dischi di inestimabile valore artistico, partendo da Flying Teapot dei Gong, passando per Leg End degli Henry Cow, per arrivare alla pietra d’angolo Lark’s Tongues in Aspic dei King Crimson e, solo l’anno dopo (nel 1974), Robert Wyatt (con la produzione proprio di Nick Mason) pubblicava quello che, a parere di chi scrive, è il più bel disco “rock” di sempre: Rock Bottom (compiuto e non perfettibile).
Quale è stato allora l’elemento differenziale che ha dato tanto lustro e successo a The Dark Side of the Moon e che lo rende ancora attuale? Sicuramente l’aver codificato un linguaggio musicale tanto nelle composizioni quanto (e soprattutto) nei suoni universale e “pop” (nella sua accezione pura del termine), collocandosi, malgrado le tematiche non propriamente ottimistiche, in quella confort zone da rassicurante dimora domestica e interiore (“Home, home again. I like to be here when I can. When I come home cold and tired It’s good to warm my bones beside the fire” – recita Breathe (Reprise).
The Dark Side of the Moon testimonia come sia sicuramente impresa difficile e meritoria comporre un’opera di qualità capace di “arrivare” a tutti e di resistere al suo “tempo” … “hanging on in quiet desperation is the English way”.
E così, per celebrare il suo mezzo secolo di vita, è stato pubblicato Live at Wembley 1974, di cui ho (volutamente) comprato e ascoltato il vinile.
L’esecuzione dal vivo di The Dark Side of the Moon è nella sostanza “pedissequa” all’originale: oltre a “peculiari” brevi fraseggi e a uno stralunato finale di Brain Damage, poche le variazioni, perlopiù riservate ai brani più “sperimentali” (Speak to Me e On the Run) e al maggior spazio dato alle “divagazioni” (come nei dialoghi di basso e chitarra in Money e degli “strumenti” e delle voci in The Great Gig in the Sky); di rilievo, invece, gli 8 minuti e più di Any Colour You Like, con il suo viaggio “interstellare” verso il lato oscuro della luna.
Ciò che però ha attirato la mia attenzione è stata la quasi impeccabile “produzione” del disco, a testimonianza di come la disponibilità di risorse (economiche e di mezzi tecnici) continui nella musica a fare enorme differenza.
Viviamo un periodo in cui è tornato “di moda” il vinile, che sta soppiantando lentamente il CD; non siamo più però negli anni ’60 e ’70, e l’uso del supporto “analogico” sta assumendo i contorni dell’“(ab)uso”. Un tempo, ragionare in termini di “vinile” era una necessità (perché unica possibilità) e tutto il processo di registrazione e di stampa era “orientato” e tarato su queste coordinate. Oggi, non è più così. C’è, quindi, da chiedersi se sia sempre opportuno e “necessario” ricorrere alla stampa in vinile anche quando non ci siano gli adeguati mezzi per garantire un “prodotto” di alta qualità o quando, più semplicemente, il “genere” musicale, per le sue caratteristiche, trovi esatto compimento sull’ormai “vecchio” supporto “digitale”.
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autore: Marco Sica
THE DARK SIDE OF THE MOON STUDIO ALBUM CREDITS:
1 SPEAK TO ME (Nick Mason)
2 BREATHE (IN THE AIR) (Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright)
3 ON THE RUN (David Gilmour, Roger Waters)
4 TIME (Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright, David Gilmour)
5 THE GREAT GIG IN THE SKY (Richard Wright – Vocal composition on The Great Gig In The Sky by Clare Torry)
6 MONEY (Roger Waters)
7 US AND THEM (Roger Waters, Richard Wright)
8 ANY COLOUR YOU LIKE (David Gilmour, Nick Mason, Richard Wright)
9 BRAIN DAMAGE (Roger Waters)
10 ECLIPSE (Roger Waters)
DAVID GILMOUR Vocals, Guitars, VCS3
NICK MASON Percussion, Tape Effects
RICHARD WRIGHT Keyboards, Vocals, VCS3
ROGER WATERS Bass Guitar, Vocals, VCS3, Tape Effects
Produced by PINK FLOYD
Recorded at Abbey Road Studios, London, between May 1972 and January 1973
Engineer Alan Parsons
Assistant Peter James
Mixing supervised by Chris Thomas
Remastered by James Guthrie
Saxophone on ‘Us And Them’ and ‘Money’ Dick Parry
Vocals on ‘The Great Gig In The Sky’ by Clare Torry
Backing Vocals by Doris Troy, Lesley Duncan, Liza Strike, Barry St John
Original Cover Design & Photography by Hipgnosis
Graphics & Artwork by George Hardie N.T.A.
Heartbeat Graphic from an idea by Roger Waters
Prism Photography by Tony May & Storm Thorgerson
Reissue design by Peter Curzon / StormStudios
All Lyrics by ROGER WATERS