La copertina di ‘Erotica Veronica’ ritrae Miya Folick in bilico sul bordo di un fosso fangoso, nella foresta nazionale di Angeles, con le braccia spalancate come un sogno febbrile fossilizzato a metà tra la terra e la zuppa primordiale. Questa immagine animalesca, primordiale, selvaggia e sfacciata fa da sfondo perfetto per il suo nuovo lavoro autoprodotto, in arrivo su etichetta Nettwerk. ‘Erotica Veronica’ è probabilmente il suo album più aggressivo e contemporaneamente intimo prodotto finora.
Cresciuta a Santa Ana, in California, e ora residente a Los Angeles, Folick si fa notare per la prima volta con due ep, ‘Strange Darling’ nel 2015 e ‘Give It To Me’ nel 2017. L’album di debutto, ‘Premonitions’ arriva nel 2018 e, poi il successivo ‘Roach’ del 2023.
I dischi precedenti di Miya sono stati ampiamente acclamati dalla critica e lodati come rapsodie di formazione. Erotica Veronica, per quanto sia stato scritto di getto, in un mese e mezzo, dopo un lungo periodo in tour, è invece un disco già maturo, completo, di taglio indie-rock diretto.
Miya ha usato la chitarra per scrivere la maggior parte dei brani e, con Sam KS alla co-produzione e alla batteria (Youth Lagon, Angel Olsen), si è poi rivolta a collaboratori frequenti come Meg Duffy (Perfume Genius), Waylon Rector (Charli XCX), Greg Uhlmann (Perfume Genius) alla chitarra e Pat Kelly (Perfume Genius) al basso.
Appoggiandosi a questi musicisti, Miya è andata in studio con l’intenzione di catturare un suono grezzo e dal vivo, optando per riprese complete. Ne viene fuori un disco che per la prima parte ricorda la grinta primitiva di una Alanis Morrisette degli esordi, ma anche la ingenua carica senza filtri di una Avril Lavrigne, Questa parte è introdotta dalla title track ‘Erotica’, una canzone sulla fantasia e sul piacere. “La nostra cultura è così puritana quando si parla di sesso, soprattutto quando si è in coppia. Penso che sia importante, per me, mantenere la mia autonomia di pensiero e credo che condividere le mie fantasie sia un atto di intimità” spiega Folick.
“L’album parla di essere queer all’interno di una struttura relazionale eteronormativa e all’interno di una società eteronormativa” spiega Miya, “ma parla anche solo di desiderio ed erotismo in generale. Non penso che ci sia abbastanza spazio per esplorare liberamente e capire i nostri giusti percorsi”.
La da da con la sua intro di chitarra e voce proseguita dalla batteria e poi col suo ritornello facile ricorda davvero la freschezza ingenua di Avril Lavrigne. La parte iniziale termina con Alaska, anche questa molto morrisettiana, cantata in forma sussurrata, molto diversa dal modo grintoso delle prime due. Ciò introduce e anticipa la capacità spumeggiante di Miya di poter cambiare i suoi timbri, i suoi stili vocali, e il resto del disco lo dimostra pienamente.
Fist è la traccia più apparentemente tempestosa del disco, anche questa molto rock-Lavrigne. Iniziando da un racconto sincero, cantato in falsetto dolce, Miya precipita poi nella rabbia e l’accumulo di dolore, che ha preso forma dentro di lei, arriva come un avvertimento prima che rilasci un urlo lungo dieci secondi di riverbero sismico.
Felicity col suo andamento vagamente soul cambia i toni del disco, e non solo della voce, e inaugura la seconda parte del disco. Anzitutto è l’unica traccia a non essere nata originariamente in chitarra acustica. Miya l’ha composta con Jared Solomon e ha sovrapposto sintetizzatori e fiati alla strumentazione tradizionale. Il brano indica la definizione meno nota della parola “felicità”: “trovare un’espressione appropriata per i propri pensieri. “E’ una pietra angolare dell’album, dare un linguaggio a come mi sento, cosa che non ho fatto per molto tempo perché non sapevo che fosse un sentimento che mi era permesso provare”conclude Miya.
La parte centrale del LP inaugurata da Felicity mostra una composizione più strutturata, una melodia più attenta e profonda, un’intonazione che non vuole solo “fare colpo” ma vuole davvero fare musica. E soprattutto, una dimensione personale, non più legata a stili e ispirazioni di modelli.
Le immagini più inquietanti del disco arrivano in This Time Around, dove la nostra viaggia nel tempo verso una visione esile di se stessa, in una relazione finita da tempo. Le voci soavi creano un duro contrasto con il ritratto sconvolgente di rassegnazione e fragilità.
Prism of Light è una splendida hit indie, piano e chitarra, mentre Hate Me, a dispetto del titolo, è una ballata dolce con andamento pop.
Hypergiant è una canzone dal ritmo suadente benché soffuso, mentre Love Wants me Dead e ancor di più Light Through the Linen sono pezzi strutturati su una ballata chitarra e voce, molto Radiohead degli esordi, e perciò assolutamente “classici” nella loro meravigliosa esecuzione. Miya mostra di saper passare da brani intimi e profondamente “suoi” (come Hyopergiant o This Time Around) all’esecuzione di pezzi che sembrano far parte di una tradizione da condividere e onorare, e mostra di saper comporre, di saper essere originalmente indie, di saper essere fresca e nuova pur all’interno del canone rock a cui è devota. Una freschezza che l’indie americano aveva bisogno di ritrovare nel cantautorato femminile.
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