Non è infrequente approcciarsi a dischi che esprimono parte del carattere dell’artista ma, di rado, son meno quelli che risultano globalmente speculari dell’indole, quindi fedelissimo a tutto ciò che emerge dalla sonda introspettiva dell’autore/i . Ecco, la sensazione che mi han dato i Giudah! con “Failures” (“Fallimenti”) ricalca pedissequamente la linea compositiva descritta in premessa e (sia chiaro!) è un gran bel segnale di spontaneità e schiettezza, oltre che d’indiscutibile cura e qualità. E’ un progetto ardito e, per alcuni aspetti, complesso benchè la struttura dei 7 brani previsti siano essenzialmente semplici ma compatti e credibili. Ardito perchè l’intenzionalità della band è quella di esularsi da ogni genere fin qui trattato e, quindi, sfido chiunque a perseguire la faticaccia del nuovo, piuttosto che il solito e rassicurante cliché stilistico adottato. Perciò lo sforzo ( e la lode…) è doppio: nella scrittura e nella produzione, destrutturando la classica forma-canzone per incastonarla nel beat colmo di influenze elettroniche e di post-rock; un bel modo di concepire musica e risulta evidente nel nucleo autoriale. Nel titolo, c’è tutta la presa di coscienza che le chances di visibilità e propagazione nel cosiddetto mainstream, siano ridotte al lumicino ma, al momento, a noi piace apprezzare i Giudah! per una proposta solida ed ottimamente assemblata.
Un loop vocale introduce l’identità di “Wendy Arnold” che si dipana su un’estraniante spazialità che pende dalla parte dei Planet Funk, parimenti alla suggestiva “Swallow” ma con maggior detonazione immaginifica, mentre “Colors Empire” picchia con quell’asfissia espressiva che fa dei Bloc Party e, rivivere certe sonorità, danno brividi a go-go, senza trucco e senza inganno ed è unicamente merito inopinabile della formazione trevigiana.
Dispersi nel cosmo di “Ballerina“, la mente ci fa fluttuare in mood onirico. Impossibile scordarsi presto di “You can’t stop me now” che basa la sua efficacia sul repeat del titolo in un’atmosfera rarefatta e granulare e “Cote de Nuit” rimarca la volontà del collettivo di proporre varianti rinfrescanti, mentre la più corta del reame “Doggerel” fu eletta come primo singolo: appena un paio di minuti ma dal contenuto non trascurabile, nel quale si narra di quella fase buia imposta dal lockdown ma che ha permesso, a molti, di rivedere i propri bilanci di vita per (ri)scoprire e recuperare aspetti personali conosciuti ed inediti. Un episodio emblematico, che identifica appieno il carattere dei Giudah!
Vedete…Si butta via tanto di quel tempo in ascolti che s’annunciano ridondanti e clamorosi per poi rimanere con un palmo di naso. Se, invece, vi ritagliate una sacrosanta mezz’oretta in confort-zone, apprezzerete non poco il magma sonoro che erutta dal vulcano del combo, sempre attivo e pronto a zampillare prodotti certificati dalla garanzia di impegno, onest‡ e l’imprescindibile anelito di non risultare banali e uguali al passato.
Un’ideologia che, di per se, è già da applausi: altro che “Fallimenti”…
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autore: Max Casali