Spiazzante, ad essere sinceri, il nuovo disco di Boris Savoldelli. Avevamo lasciato l’artista bresciano al precedente Insanology del 2008 mentre con la sua straordinaria voce, e le doti di arrangiamento, sezionava la musica più varia – dallo scat alla polifonia medievale, dal jazz al soul all’avanguardia – facendola propria in chiave pop, ed ecco che ora lo ritroviamo con un album in cui non vi è quasi voce, e nemmeno veri arrangiamenti; un esperimento, che ad ogni modo non vogliamo sminuire, poichè il lavoro è estremamente complesso e coraggioso, e merita rispetto e attenzione.
E dunque: Protoplasmic è un disco inciso a New York in una sola giornata, in studio, senza alcuna sovraincisione, piuttosto buona la prima, e trattasi di 10 improvvisazioni d’avanguardia varia – dal rumorismo all’ambient, cacofonie, echi, delay, ritmi destrutturati, metropoli nevrotiche e crisi di panico… – per un totale di 50 minuti.
Uno di fronte all’altro, i due protagonisti: Elliott Sharp, circa 85 dischi alle spalle (!), chitarrista con due palle così, presente anche al synth e al sax, autentico monumento dell’avanguardia newyorkese da fine anni 70, uno che frequenta quel circolo ristretto, super cool, in cui bazzicano pure John Zorn, Arto Lindsay, i Sonic Youth e Eric Mingus; e poi Boris Savoldelli, seduto, curvo a smanettare sul synth, che ogni tanto canta pure, tra improvvisazioni d’italiano e scat, dando prova delle proprie doti vocali e della propria passione per Demetrio Stratos ed i suoi mai abbastanza citati lavori solisti.
L’aspetto più riuscito del progetto è nella coincidenza tra le immagini evocate dai titoli dei 10 brani, e le atmosfere ricreate dai due musicisti: così ‘Khaotic Life’, ‘Noises in my Head’, o ‘Reflective Mind’, ad esempio, sono esattamente ciò che i titoli promettono, asfissianti ed aggressivi i primi, liquido ed atmosferico il terzo.
Molte fasi musicali cosmiche, ad esempio in ‘A-Quantic’ e ‘Biocosmo pt. 1 e 2’, dove pure, guarda caso, i titoli anticipano vasti spazi extraterrestri o infinitesimi ritagli atomici, ed in questi brani c’è più jazz, vagamente Sun Ra Arkestra.
Disco volutamente non abbastanza preparato, che assomiglia ad un rischioso lancio col paracadute in coppia, e che cerca negli slanci del sentimento e dell’istinto la chiave di riuscita, Protoplasmic non è un capolavoro, e l’utilizzo di una gamma di suoni ed effetti tutto sommato ristretta, lo rende ancor più spigoloso e indigesto. Così ce ne restiamo qui ad aspettare ancora il prossimo lavoro di Savoldelli – o magari un suo concerto nel Sud Italia – perchè vogliamo un’altra canzone come ‘Bluechild’.
Autore: Fausto Turi