I Cabbage generano un importante quesito nel pubblico: che senso ha il punk nel 2017?
Se il nome di questo quintetto di Manchester non vi ha mai sfiorato, basterà poco per farsene un’idea: Lee Broadbent (polistrumentista) e Joe Martin (poeta) s’incontrano, provano a suonare qualcosa di politicamente scorretto e ironico dal tono punk 77, si divertono, reclutano qualche amico, cominciano a pubblicare pezzi. In un panorama dove lo humor tagliente su grezze schitarrate non è più sulla cresta dell’onda da un ventennio, la simpatia e l’energia della band conquista l’ex-Coral James Skelly, che decide di produrli sotto l’egida della Skeleton Key Records.
Nel giro di due EP, i Cabbage diventano “the next big thing” della Greater Manchester (il cui underground punk-hardcore soffre da anni l’anonimato, sotterrato dal successo planetario delle grandi band che la città ha sfornato negli ultimi vent’anni). Suonano un po’ come i Kasabian, ma hanno più verve; ricordano i Dead Kennedys ma sono più educati; sono grezzi come i Dead Boys, ma si prendono meno sul serio.
All’inizio del 2017 Martin, Broadbent e gli altri membri tirano fuori “Young, Dumb and Full of…”, rivelando l’inizio del processo di ammorbidimento del suono tipico di qualsiasi formazione punk da qualche anno a questa parte. Il risultato non è così male, riproponendosi come più vicini a Blur e affini, con brani come la sorniona “Terrorist Synthesizer” e una cover melodic hardcore di “These Boots Are Made For Walking”.
Forse i tempi non sono maturi per un disco, o forse i Cabbage preferiscono preparare solo qualche assaggio del loro sound, ciò nonostante dopo qualche mese da “Young, Dumb and Full of..” arriva l’EP “The Extended Play of Cruelty” e ritorna la fanteria punk. Non è un modo di dire, i Cabbage sfornano un altro mini-disco (cinque brani a questo giro) in cui gli echi del 1977 sono più marcati del precedente. “Fraudulent Artist” riporta alla mente i ritornelli corali degli Sham 69, il tutto con un’ossatura strumentale minimale che si addice perfettamente al genere. “A Network Betrayal” è uno sfottò al sistema ferroviario britannico sulla linea del precedente brano, ma le cui strofe sono dipanate come un flusso da Broadbent. “Celebration of a Disease” è un graffito post-punk sullo stampo dei Fall, che nell’incedere ricorda persino “The Wings”. Per una scossa hardcore, bisogna attendere “Asa Morley” con il suo cantato sulle orme di Jello Biafra.
La formazione di Manchester è sicuramente una ventata di freschezza su un orizzonte underground che tende ad adeguarsi alle mode, ma non riesce ad aggiungere (almeno con gli ultimi tre EP) nulla al discorso punk revival che l’indie rock britannico ha già percorso da tempo. Le liriche irriverenti, i riff lo-fi e i giri d’accordi scheletrici sono ormai rari laddove la qualità sonora del disco sembra sopra ogni cosa, ma (purtroppo mi duole ammetterlo) un EP così semplicemente punk nel 2017 sembra un anacronismo che non farà altro che portarvi alla memoria qualche vinile impolverato.
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https://ahcabbage.bandcamp.com/
autore: Gabriele Senatore