E’ una bellissima testimonianza di libertà espressiva quella che ci consegna il quartetto Bassanese dei Virtual Time con “A-go-gi-ca”: un titolo nel quale è racchiusa tutta la loro filosofia artistica, ossia di contemplarla in modalità free-form, elidendo (per quanto possibile) razionalità e malizia, investendo tutto sul libero arbitrio di riluttare mode mode e catalogazioni schematiche e, benché nell’analisi dell’opera si citerà qualche nome di spicco, è solo per dare un indizio e nulla più, in quanto l’originalità dei Virtual Time è fuori discussione.
A tagliare il nastro inaugurativo tocca a “Nowhere land” , che annovera un valido impasto, come se i Franz Ferdinand fossero ubriachi di west-coast con un distillato carico di varianti. Severa ed austera, “Falling away” fa comunque librare sogni per ampiezza sonora e compattezza ialina, mentre “Subtle Echoes” è l’intermezzo che non dà l’idea di riempitivo o di uno sfizio, ma è un minutino strumentale fluttuante in cui le parole sarebbero delle guastafeste. All’ingresso di “Moonshadows” si odono pigre pennate d’acoustic-guitar ma il cambio d’indole è dietro l’angolo: infatti, l’oscurantismo ritmico che segue si integra con un narrato al contempo dolente e grintoso, finchè la musica , sul finale, finisce in quarantena e lascia il campo a strascichi di parole. Ombrosa e lugubre, “Close to reality” ti ingoia in smarrimento ipnotico con tamburi echeggianti da rito tribale, conclamato in un chorus persuasivo. Invece, in “She” c’è tutto il disarmante eclettismo della band, con un pezzo che lascia attoniti per l’indecifrabile carisma, perennemente in bilico tra psych, stoner e latente follia Pink Floydiana in coda. “A night in paradise” è un delicato preludio acustico alla splendida “Distant shores”, che sferra il colpo del k.o. con una semi-ballad di forte stampo internazionale, come se i Clodplay banchettassero insieme a Muse e Rival Sons, e giustamente collocata in chiusura dell’opera per lasciarci un brivido che lasci il segno.
Con “A-go-gi-ca” i Virtual Time sono al terzo album (della pentalogia prevista in un anno!) ed hanno, intelligentemente, optato per altre scelte sonore, osando nuove soluzioni stilistiche ed è sbalorditivo come tutto ciò scaturisca da viscerale spontaneità che vuole (oltremodo) coinvolgere l’ascoltatore in un afflato sontuoso che faccia brillare il circuito di spie emozionali di luce propria. Questo è il magnetismo della grande musica. E’ proprio vero che non si finisce mai di stupirsi.
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autore: Max Casali