Hanno ammazzato il cinema. E finalmente abbiamo trovato uno dei colpevoli: Renzo Martinelli. Sedicente regista, produttore di se stesso (purtroppo per noi sarà nato ricco, visto che di film ne ha già fatti troppi: “Sarahsarà”, “Porzus”, “Vajont”, “Piazza delle Cinque Lune”), convinto conoscitore dell’Islam e dell’attuale assetto geo-politco a livello mondiale (!), aspirante autore, chiaramente sprezzante verso certa critica accigliata e codina, con vena pseudo- politica (visto il suo carnet di opere).
O meglio, con la chiara convinzione di fare – aver fatto film politici ovvero di aver dato vita ad un’espressione artistica in grado di determinare dei mutamenti non solo nella sfera emozionale dello spettatore ma anche in quella intellettiva inducendolo a pensare e ad agire diversamente e quindi a relazionarsi in modo rivoluzionato al circostante. “Il mercante di pietre” non è un film politico, non è un film rivoluzionario.
È un attentato. Un attentato al genere umano. Un attentato al cinema.
Nessuno può o ha potuto più di lui. Credo che certe espressioni, certe manifestazioni, certe opere, rendano vana, eclissino, subissino e violentino migliaia di anni di creazione culturale. Tutto dissolto nel vento. E il mondo del cinema ne esce trucidato terribilmente. Morto e stramorto. Senza nessuno che riesca a risollevarlo.
“Il mercante di pietre” è un melting pot micidiale, il degno prodotto del peggio: attori- cane (tranne naturalmente, Harvey Keithel e il suo compagno mujadin che vorrei sapere cosa hanno fatto di così grave per essere costretti a bruciarsi la carriera ad vitam), sceneggiatura indecente (quella di un film porno sarebbe stata molto più interessante) e regia da urlo.
Snocciolo la trama giusto per dare un’idea: Alceo, è un professore universitario ex reporter d’assalto per il Messaggero, esperto di storia del terrorismo di matrice islamica, rimasto mutilato nell’attentato all’ambasciata americana di Nairobi. È un uomo che ha perso la propria virilità: “Sono solo un mezzo uomo” dice alla moglie bella e devota (Jane March). E la moglie di devozione negli anni sembra che ne abbia avuta tanta visto che a parte la mutilazione (Alceo ha entrambe le gambe mozzate sopra al ginocchio), a parte gli evidenti problemi di soddisfazione sessuale che comunque sono non poco, Alceo è insopportabile. È completamente ossessionato. Vede terroristi ovunque. Figuriamoci quello che può succedere quando la moglie è vittima di una specie d’attentato in aeroporto! E invece niente. Alceo regala alla moglie Leda un viaggio, in aereo. In Turchia. È un genio. Pare che sia il genere di regalo perfetto per chi è appena scampato ad un attentato terroristico di matrice islamica, in aeroporto.
Ma è un viaggio rimandato che andava fatto. E quindi i due partono. Sulla strada per andare ai “camini delle fate” (un luogo incantevole in Cappadocia) la macchina va in panne e vengono miracolosamente soccorsi da Shaid che li accompagna fino al loro alloggio. Shaid presenta loro il “mercante di pietre” alias Ludovico Vicedomini, alias il povero Harvey Keithel, che in quanto italiano e quindi latin lover posa gli occhi e ben presto tutto il resto su Leda. La mogliettina devota ci sta, eccome. Ma il pericolo è in agguato e il povero Alceo (questo nome poi, cade troppo a pennello!) se ne accorge: Vicedomini è italiano ma convertito all’islam e quindi terrorista. Infatti insieme a Shaid è a capo di una cellula di Al Qaeda. Il suo compito è quello di sedurre le belle signore e usarle come “colomba” ovvero portatrice inconsapevole di una bomba.
Ma naturalmente l’italiano s’è innamorato della sua vittima e non vorrebbe consegnarla alla morte. È una vecchia storia quella dell’uomo diviso tra l’impegno e l’amore, ma stavolta “amor non omnia vincit”.
Forse un giorno “Il mercante di pietre” diventerà un cult, uno di quei film su cui sbellicarsi trascrivendo le battute degli attori e lasciandosi avvincere da effetti sonori da blockbuster totalmente fuoriluogo e scene paradossali degne di uno Scary movie. O forse, verrà proiettato nelle scuole di cinema, se ne esisteranno ancora (e se esisterà ancora il mondo, visto che in occidente troppo spesso vengono realizzate e diffuse opere di una tale ingenuità – se non proprio stupidità e bassezza – che contribuiscono a fomentare il clima di tensione e di conflitto già esistente) e se riusciranno a resuscitarla la settima arte, per insegnare ai ragazzi che cosa non è cinema e cosa significa oltraggiarlo.
Autore: Michela Aprea