A quattro anni di distanza dall’uscita del loro ultimo lavoro in studio, “Requiem” (2007), sono tornati sulle scene con un doppio album dai toni più solari rispetto al passato, “Wow” (2011), e da gennaio si sono lasciati alle spalle una serie di date sold out in tutta Italia.
Fra “Wow”, Beatles, cambi di basso, Almamegretta, suoni concreti, Giorgio Canali, politicanonpolitica, vivere o non vivere di musica, Facebook, jet set e scena alternative abbiamo scambiato qualche parola con Roberta, bassista della band.
In un’intervista su Rockit alla domanda «Partiamo da “Requiem”» hai risposto «Possiamo parlare del “White Album” volendo… »: evito quindi di chiederti di “Wow” e ti chiedo direttamente del “White Album”.
(ride) Ma davvero ho risposto così? Non ricordo. Il “White Album” è un album geniale. Non è che possa paragonare “Wow” al “White Album”. Non ci permetteremmo mai di metterci a quel livello. Sicuramente è stata una scelta coraggiosa far uscire un doppio album, ma in realtà è anche stata abbastanza dovuta, nel senso che finché non eravamo contenti del materiale che avevamo siamo andati avanti a scrivere e registrare e quindi ci siamo trovati con tante canzoni per fare un doppio. Però ciò non era premeditato in alcun modo. Non volevamo fare una cosa di più rispetto alle altre volte. Semplicemente è successo strada facendo.
Siete stati ultrapassati dalle radio con “Razzi Arpia Infero E Fiamme”, a detta vostra molto più rispetto a tutti i vostri singoli passati. Eppure “Razzi Arpia Inferno E Fiamme” è forse il singolo più ostico che abbiate mai fatto uscire: come vi spiegate questo interesse da parte dei media?
Non so. Penso perché abbia sonorità più aperte a un pubblico che non è il solito nostro. In realtà abbiamo fatto anche in passato dei singoli con il pianoforte o chitarre che non fossero proprio elettriche, però effettivamente non hanno avuto questo riscontro di “Razzi Arpia Inferno E Fiamme”. Il motivo sinceramente non te lo so spiegare (ride).
Come nascono i vostri brani? So ad esempio che “Le Scarpe Volanti” è stata scritta da Luca. Generalmente compone Alberto o capita che scriviate buona quantità dei brani anche tu e Luca?
La maggior parte dei brani sono o idee di Alberto o pezzi interamente scritti da lui a cui semplicemente ci abbiamo aggiunto i nostri strumenti. Altri, invece, nascono da un’idea di Alberto e poi vengono sviluppati da tutti e tre in sala prove. Poi ci sono quei pezzi di cui parlavi che sono nati invece da parti di sintetizzatore di Luca.
Non ho potuto fare a meno di notare che hai “abbandonato” il tuo fedele Rickenbacker a favore di un Gibson: come mai questo cambio di strumentazione?
Perché servivano comunque nuove sonorità per questo disco. Abbiamo usato tanto pianoforte e tante cose diverse, quindi ci serviva un suono un po’ diverso e quindi ho provato un altro basso e mi sono trovata bene.
So che negli ultimi tempi hai anche lavorato in un pub e dato lezioni di musica ai bambini: quindi viene sfatato il mito del musicista che campa di sola musica?
Noi campiamo, quando ci va bene, con 1000 euro al mese. Ovviamente dopo tre anni che sei fermo soldi non ce ne sono più quindi comunque bisogna trovare un modo per campare.
Eppure voi siete richiestissimi, i vostri live fanno sistematicamente sold out, quindi potreste suonare in continuazione e riuscire a vivere di musica.
È stata una scelta etica, alla fine, perché comunque non ce la sentivamo di far dei concerti senza aver nulla di nuovo. Non siamo una di quelle band che per tirar su due lire fanno qualche concerto. Aspettiamo piuttosto di aver qualcosa da dire se no stiamo anche a casa (ride).
Nei vostri brani e titoli ci sono un sacco di riferimenti culturali, da Lovecraft a Kubrick fino agli immancabili Nirvana e Beatles: da dove nasce questa vostra vena citazionista?
Da input che abbiamo sotto gli occhi. Magari effettivamente c’è un disco dei Beatles oppure un libro di Lovecraft in quel momento e nasce quasi sempre per ridere. Alla fine sono cose che poi rimangono quasi sempre.
“Sarai così serio, suoni su Facebook”, cantate in “Attonito”: qual è il vostro rapporto con internet e le nuove tecnologie mediali?
Alberto quando ha scritto questo testo non sapeva che su Facebook non si suona (ride), perché io gli avevo detto che era una specie di Myspace e quindi gli suonava bene a mettere la parola “Facebook” in quel testo ma era convinto appunto fosse una cosa del genere però nemmeno sapeva che, appunto, non si suona effettivamente su Facebook. Adesso l’abbiamo fatto il nostro Facebook dei Verdena che gestiamo io e il nostro ufficio stampa, però come band non abbiamo assolutamente un grande rapporto con la tecnologia. Io forse sono quella più propensa perché comunque mi serve anche per lavorare, visto che mi occupo anche del management adesso, però giusto per quello. Non siamo patiti assolutamente.
Siete un gruppo atipico dal punto di vista “umano”: siete famosissimi ma non fate parte del jet set; siete una band alternative ma non siete nemmeno in questo caso “inseriti” nel circuito come tante altre band. Da dove nasce questo vostro modo di essere fuori da tutto?
Penso che dipenda appunto dal fatto che arriviamo da fuori dal tutto, quindi ci siamo creati la nostra storia qua dove siamo nati e cresciuti. Non ci sentiamo effettivamente parte di qualcosa se non del posto in cui siamo cresciuti e abbiamo le radici. Non vedo cos’altro potremmo fare. Non è che trasferirsi a Milano può cambiare qualcosa. Anzi, artisticamente parlando penso che sia assolutamente negativo trasferirsi in una città caotica come può essere Milano. Abbiamo qua il nostro studio, è qua che abbiamo sempre scritto musica ed è giusto che continuiamo a star qui, insomma.
Il 9 luglio avreste dovuto suonare al Traffic di Torino, data annullata causa maltempo, live durante il quale avreste dovuto condividere il palco con la PFM per eseguire “Maestro Della Voce”, canzone dedicata a Demetrio Stratos: mi incuriosiva sapere com’è stato scelto il brano.
Il brano è stato scelto dalla PFM. Forse hanno scelto quello perché era fra i più semplici loro (ride). Effettivamente poteva essere un brano abbastanza semplice da poter eseguire insieme.
Negli ultimi due album avete usato molto quelli che negli anni ’50 venivano chiamati “suoni concreti”, in particolare dialoghi ma anche canti religiosi, a volte in backwards: come vengono scelti questi materiali?
Casualmente. Sono cose che magari registriamo comunque sempre noi. Non è che li cerchiamo in giro, su internet. Anche la processione che abbiamo messo in “Requiem” effettivamente è passata davanti al nostro studio e noi avevamo fuori i microfoni per registrare la batteria con dei panoramici ed abbiamo registrato la processione e quindi l’abbiamo messa. Idem i vari cani che ci sono nei nostri dischi. Oppure le voci di Luca, che parla sempre prima di iniziare a suonare e quindi non si riesce a togliere perché rientra nei microfoni panoramici. Sono cose comunque che succedono realmente dentro lo studio. Non sono cercate. Sono la realtà, diciamo.
In “Caños EP” c’è un brano di Stefano Facchielli degli Almamegretta rielaborato, “Parabellum”: com’è nata questa idea e qual è il vostro rapporto con le band della scena dub partenopea come appunto gli Almamegretta?
I rapporti non li abbiamo assolutamente con la scena in generale. Non abbiamo rapporti con determinate scene ma semplicemente con le persone. In questo caso noi conoscevamo molto bene Stefano perché durante le registrazioni del nostro secondo disco gli Almamegretta erano nello studio di fronte al nostro, quindi ci siamo conosciuti ed abbiamo passato un sacco di serate insieme. Abbiamo fatto anche un sacco di jam session, soprattutto il nostro batterista insieme a lui con sintetizzatori, drum machine, cose del genere. E di conseguenza, dopo appunto quello che è successo, la tragedia, non c’è più Stefano, hanno voluto fare questa compilation di pezzi suoi che erano stati lasciati a metà e darli in mano a tutti i suoi amici. Siccome noi avevamo provato a farlo per questa compilation ma non avevamo avuto abbastanza tempo per finirla entro le tempistiche, l’avevamo finita più tardi, abbiamo deciso di metterla all’interno del nostro EP. Però comunque era semplicemente per un rapporto assolutamente personale e di affetto tra noi e lui.
Voi vi siete sempre mostrati come una band apolitica. Nonostante ciò avete pubblicato una versione in vinile di “Requiem” in carta riciclata come contributo a Greenpeace, iniziativa che può essere letta come “politica”, nel senso che c’è una certa presa di posizione su tematiche attuali. Tra l’altro tu collabori al progetto Rezophonic (ideato da Mario Riso, batterista dei Movida): qual è il vostro rapporto con le tematiche ambientali e umanitarie?
R: Cerchiamo di essere affini per quello che possiamo, ovviamente. Non si tratta assolutamente di politica. Si tratta di cose che riguardano noi tutti e il futuro del nostro pianeta. Assolutamente su questi argomenti siamo molto sensibili e se possiamo fare qualcosa lo facciamo.
Il vostro album d’esordio è stato prodotto da una delle colonne della musica italiana, Giorgio Canali: com’è nata questa collaborazione? L’avete scelto voi è vi è capitato?
Ce lo consigliò la casa discografica perché comunque in quel momento era uno dei pochi produttori rock in Italia. Andò molto bene, nel senso che a livello personale ci trovammo veramente bene, tant’è che anche oggi, a distanza di 12 anni, ogni tanto ci sentiamo, ci vediamo. Comunque è rimasto un affetto di fondo.
C’è qualche band italiana attuale che vi ha colpito particolarmente?
Ne abbiamo scoperte di parecchie, in realtà, quest’anno, di molto brave. Ad esempio abbiamo scoperto gli Aucan, su tutti, che sono veramente una band fantastica. Loro fanno elettronica però, fino al momento in cui non li abbiamo visti dal vivo, non potevamo capire. Poi quando li abbiamo visti dal vivo abbiamo capito che erano veramente fantastici. Sono bravissimi, infatti li abbiamo chiamati anche a suonare a qualche concerto. Poi abbiamo scoperto anche Iosonouncane, sempre vedendolo suonare prima di un nostro concerto. Anche lui c’è piaciuto molto e l’abbiamo poi richiamato. Era prima di noi a Cagliari e anche a Ferrara. Poi abbiamo scoperto i Mariposa, che sono un altro gruppo molto valido. In realtà noi siamo venuti a conoscenza del cantate, Fiori (Alessandro, ndr). L’abbiamo visto in un concerto qua a Bergamo e c’è piaciuto tantissimo a me e Alberto. Quindi l’abbiamo conosciuto e poi, appunto, abbiamo conosciuto la musica che fa.
Autore: Giuseppe Galato
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