Tra Napoli e provincia, stasera, l’offerta musicale è quanto mai ricca. Wailers, John Scofield sono solo due dei nomi che potrebbero solleticare il mio interesse. Io, però, già da tempo avevo deciso di andare a vedere Natacha Atlas. Così, tenendo fede al mio iniziale proposito, mi sono diretto al parco dei Quartieri Spagnoli, dove in parte si svolge il festival “Ethnos”. Inopinati problemi di parcheggio fanno sì che arrivi al luogo del concerto con qualche minuto di ritardo rispetto al previsto. Mentre prendo possesso di una simpatica sedia di plastica, la minuta cantante belga di origine egiziana ha da poco dato inizio alla sua esibizione. La formazione che l’accompagna, ad una prima occhiata, sembra essere una comune rock band senza chitarrista, eccezzion fatta per un suonatore di tabla dai tratti somatici tipicamente medio-orientali. Inoltre, al contraio di quanto mi aspettassi, le soluzioni digitali non trovano granchè spazio nelle versioni live delle canzoni della Atlas. Poco male, comunque, dato che la splendida voce di Natacha sarebbe capace di ammaliare da sola anche il più insensibile degli ascoltatori. Le splendide melodie arabeggianti che ella crea con i suoi onirici gorgheggi vengono spesso sottolineate da una serie di sensuali danze che rendono ancor meglio l’idea del tipo di cultura di cui è ambasciatrice. L’ottica cosmopolita dell’ ex front woman dei Transglobal Underground è stata ulteriormente confermata dall’intensa rilettura di “It’s A Man Man’s World” di James Brown. Una preziosa testimonianza di come un semplice concerto possa trasfrormarsi in un “viaggio” musicale dai percorsi imprevedibili.
Autore: LucaMauro Assante